venerdì 13 Dicembre 2024

Arruolati per fermare i clandestini dall’Ucraina

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La nuova frontiera d’Europa difesa dai navajos
Si chiamano «Lupi dell’ombra»: il loro compito è individuare le tracce di immigrati irregolari, contrabbandieri. E terroristi

Niente passa senza lasciare tracce. «Non importa quanto uno si sforzi di cancellarle, qualcosa resta. Basta che tu abbia pazienza, che tu sappia cosa guardi, e lo vedrai». Sembra una storiella indiana, e a tutti gli effetti lo è: solo che a raccontarla è Chairmaine Harris, della tribù Tohono O’odham, a una ventina di poliziotti polacchi, nei boschi al confine ucraino. Perché questo è il modo in cui l’Europa impara a difendere se stessa, in quel lontanissimo avamposto polacco che è diventato da un mese la Frontiera d’Europa. Fiutando l’aria e seguendo le tracce, come i navajos.

Per i polacchi è una vicenda seria. Da questo confine lungo 526 chilometri passano ben più di 10 mila immigrati illegali catturati ogni anno. «È facile attraversare qui senza essere notati. Ma se prima i clandestini entravano in Polonia, ora si ritrovano in Europa», dice Jerzy Ostrowsky. È lui che comanda il posto di confine a Huwniki, 250 chilometri a sud-est di Varsavia. Due elicotteri nuovi di zecca e un aereo, decine decine di cani, di cui il governo di Varsavia ha dotato i suoi guardiani della porta dell’Est, non bastano a sigillare una prateria. Da una settimana sono arrivati tre indiani, tre «Lupi dell’ombra» (Shadow Wolf) a insegnare come si inseguono contrabbandieri di sigarette e passatori di uomini, terroristi (forse) e poveracci: «interpretando» foglie piegate, rametti spezzati, le orme, al pari di un esercito di aspiranti Winitoo.
«La profondità dell’orma – dice Harris – è fondamentale. Ti spiega chi hai di fronte: un contrabbandiere che si porta 50 chili sulle spalle affonderà più pesantemente nel terreno di un clandestino». E, bastone alla mano, insegna a immaginare una corporatura, a capire la direzione della fuga da un’infossatura. A vedere, dalla quantità di polvere che si è posata sul calco, quando sono passati gli «invasori».

Loro, i tre indiani, a leggere le tracce lo hanno imparato da piccoli. Bryan Nez, 53 anni, il capo della «missione polacca», ricorda che «dove abitavo io, non c’era niente, né acqua, né luce, né gas». Aveva cinque o sei anni, quando una mattina all’alba, il nonno l’ha buttato dal letto: «Alzati, va a riprendere i cavalli». E da lì, dice, che ha imparato ad «ascoltare il tempo», a «usare l’udito e tutti i cinque sensi», «a sentirmi uno con la natura».
Da oltre un decennio, l’esercito americano ha pensato di sfruttare la loro straordinaria capacità di «leggere» l’ambiente. Hanno creato un’unità speciale di nativi americani, i «Lupi dell’ombra» appunto, e li hanno mandati a combattere il narcotraffico nel deserto, al confine con il Messico. A presidiare Rio Grande e gli infiniti sentieri dove ogni giorno si infilano decine di «Muli» e corrieri della coca. Sembrava un azzardo coinvolgere nella più feroce battaglia contro la droga un plotoncino di 50-60 Sioux, Navajo, Lakota, Kickapoo, Chicasaw, guidato dal motto: «Nel giorno

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