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Autorazzismo con il bisturi

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Così le donne immigrate cercano di occidentalizzarsi

Una volta era il “nasino alla francese”. Era l’idea fissa delle donne europee quando volevano correggere una gobbetta insolente. Oggi la globalizzazione ha uniformato in tutto il mondo i modelli estetici, facendoli convergere sui canoni di bellezza del “vecchio mondo”. Il naso alla francese è diventato più in generale un “naso all’occidentale”, così come il taglio degli occhi, la forma degli zigomi e della bocca. Secondo gli ultimi dati della American Society for Aesthetic Plastic Surgery, in Italia, per la crisi calano le richieste di chirurgia plastica ma aumentano del 12% gli stranieri che vogliono occidentalizzarsi. Si parla infatti di chirurgia plastica “etnica”, che interessa 1/4 degli oltre 11 milioni di interventi che avvengono in USA, mentre in Oriente aumenta del 20% all’anno la richiesta per avere occhi meno a mandorla e più rotondi.
Quello che conta infatti è cancellare, smussare, sbiadire i segni dell’appartenenza etnica. In tutte le grandi città asiatiche l’industria della bellezza è uno dei maggiori business del momento: mentre noi combattiamo per far capire alle giovani donne quanto sia importante l’istruzione per avere un buon lavoro ed essere indipendenti, si moltiplicano le scuole per modelle e serpeggia la convinzione che la bellezza e la perfezione fisica ad assicurare denaro, felicità e amore. Queste attenzioni per l’estetica crescono soprattutto tra la gente comune: ancor oggi, per esempio, la pelle chiara è vissuta come scorciatoia per il successo. Negli Stati Uniti, come ha dimostrato una ricerca della Brandeis University del Massachusetts, a parità di mansioni i bianchi guadagnano di più degli afroamericani e hanno una ricchezza media che è cinque volte superiore. Osserva il professor Mario Dini, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica a Firenze e Milano: “È un fenomeno tutt’altro che marginale e dalle complesse implicazioni psicosociali che il medico non può sottovalutare”.Gli interventi più richiesti? “La cantoplastica, ossia il rimodellamento degli occhi orientali per renderli meno ‘a mandorla’, la rinoplastica per donne e uomini mediorientali e per gli afroamericani che richiedono anche la cheiloplastica, ossia la riduzione del volume delle labbra, e la liposuzione per il rimodellare il fisico”.
Davanti a un fenomeno sociale di questa portata l’antropologa culturale Genevieve Makaping osserva come le conseguenze di questo strano autorazzismo siano profonde e pericolose: “Chi cerca di eliminare o minimizzare i propri tratti originari non sarà mai del tutto assimilato al modello occidentale e si troverà discriminato anche dal proprio gruppo sociale. Assecondando le loro richieste si rischia di confinare queste persone in un limbo culturale”. Continua il professor Dini: “C’è chi crede che intervenendo sul corpo possa cambiare la propria vita. La maggior parte delle volte non è così. Per esempio, se oggi è normale che una donna senza seno voglia ingrandirlo per piacersi di più e accrescere la propria autostima, gli interventi per modificare i tratti etnici sono invece psicologicamente più delicati. Il paziente straniero spera che il bisturi possa essere il “mezzo” per rinascere e questo non è possibile. Il volto “globale” alla fine è un’illusione”. Conclude la dottoressa Makaping: “L’omologazione non è la soluzione. I vari tipi di bellezza vanno valorizzati proprio per le loro peculiarità. Il modello “donna longilinea, bionda e bianca” è solo un prodotto dei media. Ormai tutti conosciamo i trucchi che permettono di creare questi “ultracorpi” al computer, che tra l’altro non esistono nella vita reale. Cercare di migliorarsi esteticamente è legittimo e in certi casi va sostenuto; trattamenti che invece vogliono cancellare un tratto etnico vanno analizzati con estrema attenzione”.

 

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