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Bartali in camicia nera

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Quell’appartenenza mai rinnegata alla GNR

Come direbbe lui: “L’è tutto da rifare…”. In questo Paese si tende, dalla fine della guerra, a riscrivere la storia patria e, in certi casi, addirittura a nasconderla. Come sta capitando in questi giorni in occasione dei sacrosanti festeggiamenti e celebrazioni in onore del campione Gino Bartali, icona italiana se mai ce ne furono, per il suo impegno per salvare le vite di molti ebrei italiani dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Tutto vero, se non fosse per un piccolo dettaglio, che la storiografia dei vincitori ha sempre cercato di occultare: Gino Bartali era un milite della Repubblica Sociale Italiana. Più precisamente, era un motociclista della GNR, la Guardia Nazionale Repubblicana, corpo al quale, tra l’altro, Bartali era onoratissimo di appartenere, come vedremo. Va anche precisato, per amore di verità, che Bartali non era un volontario nella RSI, come centinaia di migliaia di altri giovani, ma era un coscritto, un richiamato alle armi. Poiché infatti lui era un grande campione che per giunta non si interessava troppo di politica, anche se diversi testimoni affermarono che era fascista, probabilmente avrebbe evitato volentieri la naja. Ma poiché era un italiano perbene  e una persona corretta, rispose senza imboscarsi alla chiamata della patria.
Diciamo anche per inciso che è del tutto priva di fondamento la diceria che lo vorrebbe antifascista o che addirittura fosse entrato nella resistenza, voce messa in giro artatamente per dimostrare l’equazione fascista uguale cattivo mentre partigiano uguale buono. Non è ovviamente così, anzi, spesso si è dimostrato il contrario. In verità, moltissimi aderenti alla Repubblica Sociale, quando hanno potuto, aiutarono gli ebrei a sfuggire alle persecuzioni, il caso più noto fu quello di Giorgio Almirante. Se questa verità storica venisse raccontata agli italiani, cadrebbe il castello di menzogne edificato nel dopoguerra sino a oggi dalle sinistre. E si potrebbe finalmente parlare di pacificazione nazionale. Quindi, quando salvava gli ebrei, Bartali non era “travestito” da motociclista della GNR, ma quella era proprio la sua uniforme. Entrò quindi nella Guardia Nazionale Repubblicana motociclista, la GNR, della Repubblica Sociale Italiana, venendo assegnato a Passignano sul Trasimeno come portaordini. Ma giacché lui era Bartali, il suo superiore gli dette il permesso di utilizzare la bicicletta anziché la moto. Successivamente chiese e ottenne il trasferimento, e iniziò appunto l’attività clandestina per salvare quante più vite possibili, e lo fece da par suo, in bicicletta. Faceva 300 chilometri al giorno fino al convento di Assisi e ritorno, e portava nel tubo cavo sotto il sellino documenti e materiale che avrebbero consentito alla rete clandestina vaticana di stampare passaporti e certificati falsi atti a far espatriare gli ebrei. Tutti sapevano che su quella strada passava Bartali, che a quei tempi era popolarissimo, e per giunta vestiva la divisa della RSI, che lo metteva al riparo da qualsiasi problema. Comunque non fu mai scoperto, né mai lo raccontò. Così come non raccontò della sua coscrizione alla RSI, nella quale peraltro militò volontariamente un altro grandissimo campione dell’epoca, Fiorenzo Magni, detto il leone delle Fiandre, grande amico di Ginettaccio anche dopo la guerra.
Per questo il suo ricordo e la sua celebrazione dovrebbero servire a unire gli italiani in una storia condivisa. Bartali è passato alla storia tante volte e per tanti motivi: innanzitutto per i suoi meriti sportivi, da ciclista grandissimo che a 34 anni suonati seppe vincere la gara più importante del mondo in questa disciplina, il Tour de France. Poi per meriti umani, come si è appreso dopo la sua morte, avvenuta il 5 maggio del Duemila. Ora si sa, ma Bartali negli anni della guerra contribuì a salvare ebrei e soldati alleati grazie alla sua immensa popolarità e alla sua grande pedalata. Lo ha rivelato il figlio insieme ad altri testimoni, confermando il fatto che Bartali fu campione sì dello sport, ma soprattutto della vita. Dopo la guerra, poi, dicono molti, contribuì con la sua citata vittoria al Tour, a rasserenare gli animi degli italiani che stavano precipitando in una nuova guerra civile dopo l’attentato a Palmiro Togliatti, segretario del Pci, da parte dello studente fascista Antonio Pallante. Quello che è certo è che la stella polare di Bartali fu sempre il trinomio Dio-Patria-Famiglia, come peraltro lo fu per quasi tutti gli italiani della sua classe, che era la 1914. Aderente ad associazioni cattoliche, pensò anche seriamente di prendere i voti dopo la tragica morte del fratello minore Giulio, scomparso in seguito a un incidente stradale durante una gara ciclistica. La sua opera meritoria cui accennavamo fu da lui compiuta d’accordo con il vescovo Elia Dalla Costa che gli chiese espressamente di portare documenti da Terontola ad Assisi che avrebbero consentito l’espatrio di molti ebrei, cosa che Bartali fece coraggiosamente per parecchio tempo.
Per chi avesse voglia, o tempo, di verificare la notizia, potrà certo trovare un documento prestampato, da noi visionato, di lealtà alla RSI, firmato da Bartali e dall’ufficiale medico di servizio, documento del quale mai Bartali contestò la veridicità e che poi fu pubblicato nel 1949 dalla rivista Centomila. La caserma di Firenze dove Bartali prestava servizio come milite della GNR era in via della Scala, dove diversi testimoni raccontarono di averlo incontrato. E nel 1943, prima dell’8 settembre, Bartali scriveva al comandante della fascista Milizia Stradale in cui lo ringraziava per il suo (di Bartali) passaggio nel corpo. Insomma, la biografia degli eroi italiani non va sbianchettata….

 

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