Dalle telefonate che ha fatto il Cavaliere ha ricavato una conferma, ovvero che la partita della formazione del nuovo governo europeo, anche se agli sgoccioli, può ancora finire in qualsiasi modo. E che i contatti di questi giorni che le cancellerie europee si scambiano possono avere molteplici obiettivi: dichiarati, tesi a sostenere i candidati nazionali, ma anche di marca meramente diplomatica, perché non si possa dire in giro che quel tale governo non ha sostenuto sino in fondo il proprio candidato ufficiale. In un gioco che è anche delle parti, che incrocia anche interessi di natura interna da interpretare, e che non esclude possibili colpi di scena, nelle ultime ore lo stesso Gordon Brown ha chiamato la Merkel, per sostenere che non può essere lui a ritirare la candidatura alla presidenza della Ue di Tony Blair (che quasi tutti danno ormai per tramontata).
Il rientro in pista dell’ex premier laburista sarebbe una sorpresa, ma fra Londra e Berlino se n’è parlato, cercando forse di smussare per un’ultima volta (con convinzione?) lo scetticismo che la Cancelliera ha sempre nutrito per la candidatura europea dell’ex inquilino di Downing street. Il Cavaliere ha avuto conto di queste dinamiche scambiando impressioni su tutta la partita con la stessa Merkel. Mentre da Parigi si riceve la conferma che Sarkozy non ha mai smesso di ritenere Blair un ottimo nome possibile per la presidenza, come del resto gli olandesi e gli spagnoli. Chiacchiere finali di una partita in chiusura (quella di Blair) o qualcosa di più? Al momento non lo sa nessuno, e quando Brown dice che non può ritirare ufficialmente la candidatura di Blair (quella dell’altro inglese, David Miliband, alternativa e diretta alla stessa carica per cui concorre anche Massimo D’Alema, è si data in ascesa dai socialisti ma allo stesso tempo non ufficiale) dice una verità tecnica: si procede infatti prima con la nomina del capo del governo europeo, poi con i commissari. Ma può anche darsi che insista solo perché lo stesso Miliband è più concentrato su obiettivi di politica interna, e sembra non si stia sbracciando più di tanto per sedersi sulla poltrona di mister Pesc. O anche per il motivo opposto: blindare Miliband come compensazione per Londra.
Di certo il Cavaliere sta facendo la sua parte. Nel suo giro di telefonate ha parlato con Joseph Daul, presidente del gruppo popolare a Strasburgo e soprattutto con il cancelliere austriaco Werner Faymann, che ha ricevuto il mandato esplorativo per sondare i 27 Paesi e capire chi abbia più chance fra i socialisti per arrivare a dirigere la politica estera dell’Ue. A chi gli parla riconosce ormai apertamente che anche la sola chance di avere un italiano in quella poltrona ォcostituisce un interesse nazionale prevalente サ rispetto ad avere un commissario di stretta fiducia e della stessa parte politica. Insomma nonostante i rumors e persino le quotazioni dei bookmarkers britannici i giochi sono ancora tutti aperti. Ieri se n’è avuto un assaggio persino nel corso dell’ufficio di presidenza del Pdl, tenutosi a Palazzo Grazioli. Durante la riunione presieduta da Berlusconi si è accennato a Blair e sopra tutto si è rimarcato che è in atto una piccola rivoluzione dentro il Ppe contro la candidatura del belga Van Rompuy alla presidenza, considerato da molti una figura di troppo basso profilo. Tutto ha anche un riflesso di politica interna. In Europa ormai si parla apertamente di una cauta insistenza dell’Italia su D’Alema, dove per il sostantivo c’è da registrare anche la riservata, ma costante, attenzione che il Quirinale (sul filo Roma-Bruxelles) sta dedicando al dossier. Un dossier che in uno scenario a 360 gradi è stato discusso poche giorni fa anche da un uomo di fiducia di Berlusconi come Mario Mauro, capo dell’eurodelegazione del Pdl, direttamente con Bersani, in una lunga conversazione che ha toccato l’Europa, gli aspetti comunitari più attuali, ma anche ovviamente D’Alema, il rapporto fra l’ex leader dei Ds e il Cavaliere. E di conseguenza i rapporti prossimi venturi fra la maggioranza e il partito democratico.
Ma il contrasto attuale e il piacere di poter dire no agli ultra-atlantisti non può farci dimenticare che D’Alema, da premier, permise alla Nato di bombardare, dall’Italia il popolo di Belgrado e che non è migliore dei suoi conocorrenti in carriera.