Giovedì 9 luglio è il giorno della grande prova per l’unità del movimento. L’ultimo appuntamento è fallito. Era stato preparato in fretta, poca gente ha risposto all’appello, la città era presidiata, c’era molta paura. Domani dobbiamo rispondere all’appello del nostro presidente Mousavi e tornare in piazza per la nostra libertà, per la liberazione dei prigionieri politici e per il cambiamento democratico che tanti iraniani hanno sperato durante la giornata del 12 giugno.
Sono giorni che ci prepariamo attraverso Internet, speriamo che non ci siano sorprese. La manifestazione generale è per le 17. I percorsi sono decisi e chiari e anche l’atteggiamento da tenere è stato concordato via web tra tutti noi in tutte le 250 città dell’Iran che aderiscono alla protesta.
In questi giorni, dopo la tempesta di sabbia che ha investito il Paese, il governo ha deciso “prudentemente” di chiudere, a partire da martedì 7 luglio, tutte le attività e gli uffici pubblici.
Noi crediamo che questo sia stato fatto per anticipare e sabotare lo sciopero e la manifestazione del 9. Hanno pensato che forse i giorni vacanza avrebbero contribuito a far svuotare le città, e soprattutto Teheran. Ma questo non ha importanza, perché l’appello è di manifestare anche nei piccoli centri e nei luoghi di villeggiatura.
In queste ultime sere, e soprattutto martedì, prima del discorso del presidente golpista Ahmadinejad, che ha parlato per la prima volta dopo le elezioni truccate, gli iraniani dissidenti hanno iniziato ad accendere molte luci e a consumare energia per far saltare la corrente elettrica, con gli obiettivi di dimostrare innanzitutto il numero dei sostenitori della causa, e poi perché l’oscurità facilita chi va fuori a scrivere slogan di protesta sui muri, protegge chi va sui tetti a gridare “Allaho Akbar/ Dio è grande” e infine senza corrente non si vede il telegiornale di regime della sera con gli eventuali discorsi dei governanti.
La lotta continua, dunque, nonostante la repressione, ma con modalità più intelligenti. Alcune università statunitensi e canadesi hanno dato la disponibilità di concedere della banda libera su internet all’Onda Verde. Il web continua a giocare un ruolo importante per la comunicazione della protesta e l’accessibilità e la velocità possono essere due elementi fondamentali.
Decisi e chiari domani: durante i cortei dobbiamo essere calmi e pacifici, il nostro obiettivo è far vedere che siamo in tanti e che non vogliamo combattere le forze di sicurezza. Per questo, se ci troveremo di fronte cordoni di polizia in assetto antisommossa non li sfideremo. Eventualmente ci sposteremo in altre vie e piazze alternative: abbiamo già scelto quali su ogni percorso, ma speriamo sia rimasto nel segreto delle nostre conversazioni clandestine, così non sono preparati e non ci aspetteranno. Nessuna violenza, nessuna risposta ad eventuali provocazioni, vogliamo manifestare pacificamente e pacificamente ritornare nelle nostre famiglie.
Le case vicino ai luoghi e ai percorsi delle manifestazioni dovranno lasciare una manichetta dell’acqua disponibile per dare la possibilità di bere e rinfrescarsi, e anche di bagnarsi tutto il corpo per rendere inefficaci i manganelli elettrici: in questo modo le scariche tornerebbero verso chi li usa. Possiamo portare anche dei fiori in mano oppure alzare verso l’alto le dita con il segno della V di vittoria. Gli slogan non dovranno essere violenti: grideremo parole di pace senza vocaboli di morte e soprattutto in sostegno del candidato Mousavi. E quella che è diventata la parola d’ordine ormai: “Dove è il mio voto?” Se ci saranno scontri dobbiamo scappare, perché non ci devono essere altri spargimenti di sangue.
Dalla settimana prossima invece continueremo a fare delle azioni di logoramento del regime, per cercare di paralizzare il sistema. Come scrivere sulle banconote, gridare dai tetti la notte, non riconoscere il governo e altri tipi di protesta passiva e pacifica. Non abbiamo intenzione di fermarci, anche se l’aria a Teheran e nelle altre città è pesante, i Pasdaran e i Basiji sono ovunque, ci ascoltano, ci controllano, sappiamo che sarà lunga. Ma noi siamo andati alle urne (85% di affluenza) e ci hanno imbrogliati, hanno umiliato la nostra intelligenza e ci hanno coperti di bugie nei giornali e nella tv di stato.
Abbiamo manifestato pacificamente ma ci hanno represso brutalmente ammazzandoci, torturandoci e imprigionandoci. Non contenti ci hanno ignorato pubblicamente e Ahmadinejad ci ha definito “un mucchio di fango e sterpaglia”, ma noi non lo siamo, siamo i giovani iraniani che prima o poi daranno duri colpi a questo regime. E non potranno più ignorarci.