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Cento giorni ma senza Napoleone

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Le prime verifiche per Biden

Superato, per ora, l’ostacolo Trump, sarà decisivo vedere come il nuovo presidente Joe Biden intenderà giocarsi i suoi primi 100 giorni che da tutti sono considerati cruciali per giudicare la politica della nuova amministrazione statunitense. Non si può dire che manchino, già nei primi giorni, corposi segnali, anche se non sempre coerenti tra loro, di quella che sarà la politica economica di Biden. I primi passi avvengono all’insegna dell’helicopter money. Il nuovo presidente americano sembra avere compreso che la ricomposizione e la pacificazione di un paese percorso da una guerra civile strisciante non si può fare con inviti retorici né con gli inni cantati dalle star. Si propone dunque di spostare verso la sua parte quell’America profonda, impoverita e invelenita contro le elites economiche e culturali, che ha premiato con più di 74 milioni di voti l’orrido Trump, con interventi sostanziosi e concreti, almeno per ora sul piano distributivo.

Lo fa immettendo direttamente nelle tasche degli americani un assegno o bonifico bancario da 1.400 dollari per decine di milioni di cittadini. Che vanno ad aggiungersi ai 600 derivanti da una precedente misura. Dovrebbero riceverlo quasi 88 milioni di americani, quelli con un reddito individuale sotto i 75mila dollari annui o familiare sotto i 112mila dollari annui. Come si vede l’idea non è nuovissima, perché già Trump, alla ricerca di consensi, ci aveva tentato, ma era stato fermato dagli stessi parlamentari repubblicani. Questa sarebbe solo una parte, anche se consistente di un maxipiano immediato di soccorsi di 1900 miliardi, comprendente oltre agli assegni alle famiglie, fondi per Stati e scuole, potenziamento dei sussidi di disoccupazione, misure contro il coronavirus e il raddoppio del salario minimo federale a 15 dollari l’ora. Ovvero l’American Rescue Plan.

Dal canto suo l’ex presidente della Federal Reserve, Yanet Yellen, nominata segretaria al Tesoro, durante le audizioni al Senato per la conferma del suo nuovo incarico ha chiaramente esplicitato il suo programma, facendo appello al Congresso perché sia rimossa ogni titubanza sull’incremento della spesa pubblica senza rimanere bloccati dalla preoccupazione del forte incremento del debito pubblico: “Senza ulteriori azioni, il rischio è quello di una recessione più protratta e dolorosa, e poi di ferite di lungo periodo per l’economia”. Quindi la neo ministra del Tesoro statunitense è perfettamente cosciente che neppure i provvedimenti messi in atto dalla nuova presidenza sono sufficienti per attenuare le diseguaglianze e rilanciare l’economia americana.

Il bulldozer della pandemia ha scavato e approfondito nuovi fossati che hanno allargato a dismisura le diseguaglianze sociali negli Usa. Quando l’ex ministro Fabrizio Barca su twitter ha richiamato l’attenzione sul fatto che l’assalto al Congresso americano affondava le sue motivazioni nelle profondissime diseguaglianze esistenti in quella società, è stato sbeffeggiato e accusato di volere trovare giustificazioni sociali per un agire violento. Forse Barca è stato incauto ad usare twitter che non permette di fare un discorso articolato, ma sono in molti tra economisti e uomini politici avveduti ad avere sostenuto la stessa cosa. Per esempio Robert Reich, professore di economia a Berkeley, nonché ministro del lavoro ai tempi di Clinton, che, intervistato da Affari&Finanza ha affermato che: “Il sistema americano è strutturato per favorire le classi più agiate a danno della maggioranza. Sono le diseguaglianze che hanno portato milioni di voti a Trump”. Infatti queste hanno raggiunto livelli impensabili. Un solo esempio, ma non è un caso isolato: Sundar Pichai, Ceo di Alphabet Google, calcolando anche le stock options ha raggiunto uno stipendio annuo di 280 milioni di dollari, pari a circa 10mila volte lo stipendio medio nel suo gruppo! Hai voglia a far volare l’helicopter money per raggiungerlo.

Ma c’è anche un altro aspetto che rende evidente che solo mettendo in tasca i soldi alle persone l’economia non si risolleva. Da più di dodici anni Wall Street procede in rialzo. Da tempo il mercato borsistico è ormai nettamente scisso dall’economia reale e non solo negli Usa. Tutto ciò è anche favorito dalla iniezione di liquidità da parte della Federal Reserve, come dal Quantitative easing della Bce per quanto riguarda l’Eurozona. La Banca centrale acquista titoli obbligazionari; la liquidità che ne deriva finisce poi sul più remunerativo mercato azionario.

Ovviamente quest’ultimo non è rimasto a guardare. Per attirare anche i soldi provenienti dai sussidi statali sono state immesse sul mercato le cosiddette penny stocks, ossia azioni il cui valore nominale è molto basso, anche inferiore al dollaro, tali da essere accessibili ai piccoli risparmiatori. Non solo, ma lo storno di fondi verso il mercato azionario anziché verso l’acquisto di beni e servizi si avvantaggia anche di altri sistemi, come l’acquisto delle cosiddette opzioni call, per cui se alla scadenza fissata il prezzo dell’azione sale al di sopra di quello all’acquisto, il guadagno può essere moltiplicato per 100, poiché ogni opzione muove 100 azioni: da metà dicembre a metà gennaio il numero di opzioni call “tradate” a Wall Street ha raggiunto la media record di 22 milioni di dollari. Non si tratta di novità sconvolgenti ma certamente di un’accelerazione degli effetti negativi provocati dalle distorsioni fisiologiche del sistema. Il mercato azionario rende assai meglio quando i profitti aumentano o quando i redditi da lavoro diminuiscono. Se poi le due cose succedono contemporaneamente per la Borsa è una vera pacchia. Ma così il rischio di andare incontro a una nuova bolla sul mercato azionario è evidente, secondo alcuni addirittura inevitabile.

Molto dipende dalla politica economica dell’Amministrazione Biden che non dovrebbe fermarsi a pur generosi sussidi, ma promuovere un intervento diretto nell’economia, a partire dal grande tema della conversione ecologica per fermare l’alterazione del clima. La drastica deregulation pretesa da Donald Trump sulle emissioni delle centrali elettriche è già stata bocciata da un tribunale d’appello. Ma ci vuole ben altro. Nel solo mese di dicembre gli Usa hanno perso 140mila posti di lavoro, un crollo come non succedeva da aprile. Il che ha introdotto più di un dubbio sulla rapidità della ripresa occupazionale. È vero che dei 22 milioni di posti di lavoro perduti nei primi mesi dell’imperversare del virus, ne sono stati recuperati più della metà. Ma i dati di dicembre fanno capire che il recupero sta già subendo delle brusche frenate. Il consuntivo del 2020 lo qualifica come l’anno peggiore per l’occupazione statunitense dal 1939.

La politica di aumento dei dazi di Trump si è rivelata un fallimento. Infatti l’economia statunitense è legata dalle catene internazionali produttive e creatrici di valore. In queste condizioni il protezionismo è quasi sempre un boomerang che si ritorce contro i settori che vorrebbe difendere. Ma questo non significa che l’amministrazione Biden intenda spalancare le porte del mercato americano. Proprio pochi giorni fa il nuovo presidente ha firmato un decreto che impone nuovi obblighi all’amministrazione federale di acquistare prodotti americani. Il nuovo Buy Americannon è piaciuto alla Ue – così come agli Usa non è piaciuto l’accordo sugli investimenti tra la Ue e la Cina – ma è stato criticato anche dal governo canadese. Intanto Gina Raimondo, scelta da Biden come segretaria al Commercio, ha usato toni durissimi nei confronti della Cina, dichiarando davanti al Senato di volere usare ogni strumento disponibile in sua mano “per proteggere gli americani da interferenze cinesi”. Se quindi da un lato il nuovo presidente vara un piano che secondo il Fmi potrebbe portare ad una crescita economica del 5% nei prossimi tre anni, corredato da una politica monetaria quanto mai accomodante; se si mostra più attento alle regole del multilateralismo; se riprende gli impegni sul fronte climatico, non per questo abbandona misure protezionistiche per soccorrere le fragilità interne all’economia e all’occupazione del suo paese. Anche questo dimostra che Trump è stato più l’effetto che non la causa del rinculo protezionista della politica economica americana. Non basta togliere Trump per cambiare totalmente musica.

È proprio sui temi dell’economia reale e dell’occupazione che Biden è atteso alla prova quando metterà in atto quella Build Back Better che dovrebbe rappresentare il cuore della sua politica economica. Si racconta che Franklin Delano Roosevelt, dopo avere annunciato il suo famoso New Deal, venne avvicinato da un cittadino che gli disse: “Signore, se il suo piano ha successo lei diventerà il più grande presidente della storia d’America, ma se fallisce lei sarà il peggiore”. E Roosevelt di rimando: “Se il piano fallisce non sarò il peggiore, sarò l’ultimo”. L’aneddoto è stato richiamato in questi giorni anche dal New York Times, a dimostrazione che vi è quindi grande attesa per cosa dirà al riguardo il nuovo presidente nel suo primo Discorso sullo Stato dell’Unione nel prossimo fine febbraio.

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