Non è ben chiaro che cosa voglia da loro, a parte una goccia di saliva. Ma, da dieci anni, Marc Vermeeren, 51 anni, insegue eventuali discendenti di Adolf Hitler per dimostrare che il Dna dell’uomo probabilmente più detestato della Storia è ancora in circolazione su questa terra. . Si sa, o perlomeno si ritiene, che il Führer non abbia avuto figli. Però aveva un nipote, dal lato paterno, William Patrick Hitler, che ne mise al mondo quattro, dopo essersi dileguato negli Stati Uniti sotto l’innocente cognome di Stuart-Houston; e poi aveva una schiera di zie e cugine prolifiche, sul fronte materno.
Marc Vermeeren, meticoloso funzionario delle dogane belghe (per coincidenza, la stessa professione del padre di Hitler, Alois), ha contabilizzato, nel suo tempo libero dalle bolle di accompagnamento, non meno di 39 eredi viventi, e non propriamente fieri dei cromosomi e del cognome che fecero tremare il mondo 70 anni fa. Frugare tra certificati di nascita, di morte e matrimoni, negli archivi parrocchiali, tra 20.000 documenti e 500 biografie, non pareva però conclusivo al ricercatore, che voleva di più: cercava la prova regina di tutti i processi indiziari, il responso delle analisi sul Dna. Aiutato dal giornalista fiammingo Jean-Paul Mulders, il doganiere di Bruxelles sostiene di essere riuscito a decifrare quello, finora misterioso, del cancelliere del Terzo Reich, incrociando le impronte genetiche dei rami austriaci, tedeschi e statunitensi, accomunati (solo per parte maschile) dallo stesso cromosoma Y.
Ciò gli avrebbe permesso anche di smentire definitivamente un’ipotesi circolata fra gli storici, secondo la quale il padre (illegittimo) del dittatore fosse un ebreo, o addirittura un Rothschild, da cui mamma Klara lavorava come donna di servizio quando restò incinta. Il test del Dna avrebbe certificato invece che Hitler era davvero un Hitler. Per la coppia di investigatori belgi recuperare un frammento organico della discendenza maschile hitleriana è diventata un’ossessione che li ha portati ad attraversare l’Atlantico, a impossessarsi di mozziconi di sigarette e a trafugare tovagliolini di carta unti di pollo, a rischiare le martellate di indiziati poco collaborativi, ma dai cognomi evocativi, come “Hüttler”. Soltanto uno, Andreas, ha concesso volontariamente un campione di saliva. Finalmente, hanno raccontato al quotidiano spagnolo El Mundo , sono certi di disporre ora della più dettagliata, completa e inconfutabile ricostruzione dell’albero genealogico della famiglia Hitler, fino alla sesta generazione.
Nessuno dei due si sente colpevole per aver divulgato i nuovi cognomi, gli indirizzi e i mestieri dei titolari del cromosoma che li marchia come una croce uncinata. E, a dire il vero, i fratelli Stuart-Houston erano già stati scovati dai cronisti americani, prima che alla porta delle loro villette di Patchogue, a Long Island, si presentassero i due segugi belgi. L’assedio è durato una settimana, sotto una tormenta di neve, finché il primogenito, Alexander, un giardiniere sessantenne, non si è avventurato fino a un vicino drive-in per ordinare un cartoccio di pollo fritto, commettendo l’atteso passo falso: si è pulito la bocca con un tovagliolino di carta e l’ha gettato sull’asfalto, da dove Vermeeren e Mulders, equipaggiati con pinzette e guanti di lattice, lo hanno recuperato per inviarlo al laboratorio di analisi. Il cromosoma Y era lo stesso di quello carpito ai lontani cugini Hüttler, distribuiti nelle campagne dell’Austria meridionale.