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Ci confinano almeno fino a primavera

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Conte ne ha sicuramente intenzione

Il metodo è lo stesso di quello utilizzato in occasione dell’ultimo Dpcm e del decreto per gli aiuti alle attività che hanno subito le nuove restrizioni: prima la certezza di avere soldi a sufficienza, poi la decisione. È per questo che prima di chiamare il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, Giuseppe Conte chiede essere rassicurato sulla possibilità di promettere alle imprese di essere sgravate dai costi della cassa integrazione Covid. E di ottenere, in cambio, il via libera alla proroga del blocco dei licenziamenti fino a fine marzo. Anche questa volta il via libera arriva dalla Ragioneria generale dello Stato, il cervellone del ministero dell’Economia che tiene in mano i conti e la situazione delle casse pubbliche. Poi parte la telefonata del premier. E Bonomi dice sì. Fino al 31 marzo nessuno potrà licenziare.

È l’emergenza sanitaria, che si tira dietro la grande decisione sul lockdown nazionale, a obbligare il Governo ad allungare la coperta su un mondo del lavoro che potrebbe ritrovarsi a breve a rivivere una nuova stagione di grandissima difficoltà. Lockdown e licenziamenti è un accostamento che la pandemia ha già negato durante la prima fase e questo divieto si ripropone di nuovo oggi. È un altro elemento che attesta come il quadro generale si è fatto di nuovo scivoloso, affannato, veicolo di scelte politiche da adottare subito. Insomma l’impennata dei contagi e l’avvicinarsi di nuovi giri di chiave al Paese va quantomeno contrastato evitando di peggiorare un conto che ha già mandato al macero migliaia di posti di lavoro a termine. Anche a costo di rivedere le convinzioni di qualche giorno fa, quando nel Governo tutti pensavano che il blocco dei licenziamenti si poteva prorogare al massimo da fine dicembre al 31 gennaio. Tutti, Pd in testa, ritenevano che andare oltre sarebbe stato insostenibile, non solo per la contrarietà di Confindustria in quanto categoria, ma perché ci sono comunque gli aiuti in campo e le aziende devono comunque trovare una sorta di valvola di sfogo, di exit strategy, di fronte al crollo dei fatturati, alle restrizioni e all’impossibilità, in molti casi, di mantenere gli stessi livelli occupazionali dopo la batosta del lockdown e con un’economia che al netto del rimbalzo positivo è su livelli anemici. E poi, altra considerazione fatta dal Governo, l’Italia è l’unico Paese che ha il blocco dei licenziamenti attivo da marzo.

La scelta del Governo è ricaduta sul 31 gennaio appena tre giorni fa. Questa è la data riportata nel decreto Ristori. Tre giorni dopo l’orizzonte viene spostato al 31 marzo. Un cambio repentino che è un altro indicatore di come la recrudescenza della pandemia sta imponendo il suo ritmo su quello del Governo o, letto da una prospettiva opposta, di come il Governo è costretto a inseguire il virus. Poi c’è il pressing dei sindacati perché Cgil, Cisl e Uil hanno iniziato a puntare su marzo già da alcune settimane e erano rimasti insoddisfatti dalla decisione presa tre giorni fa. Il numero uno della Cgil Maurizio Landini è arrivato anche ad evocare lo sciopero. Anche questo ha contato nelle valutazioni del Governo. Aggiungere una nuova protesta alle piazze incandescenti delle grandi città degli ultimi giorni avrebbe allargato il perimetro del dissenso. E, più in generale, avrebbe traghettato l’esecutivo in questa nuova fase di difficoltà senza il consenso del sindacato, che invece c’è stato durante la prima fase dell’emergenza, al netto di qualche dissenso fisiologico sulla natura delle misure adottate con i decreti anti Covid.

Però Conte dall’altra parte si è ritrovato fin da subito Confindustria. Una prima ipotesi, fatta a palazzo Chigi e al Tesoro, era di vietare i licenziamenti fino a fine marzo solo alle imprese più in difficoltà, ma poi la posizione del Governo si è radicalizzata a causa dell’emergenza. A viale dell’Astronomia il messaggio è stato recapitato dal Tesoro e dal ministero del Lavoro giovedì e subito si è messo in chiaro la posizione. Questa: se il Governo vuole prorogare lo stop dei licenziamenti per tutte le aziende, allora almeno le stesse aziende non devono pagare il conto della cassa Covid. Questo perché ora la cassa speciale, istituita proprio per l’emergenza, è gratuita per chi ha registrato un calo del fatturato del 20% o più, mentre se le perdite sono inferiori al 20% allora l’azienda deve versare un’aliquota aggiuntiva che è proporzionale all’entità della perdita stessa (più bassa è la perdita e più alta è l’aliquota). I ministeri hanno rigirato la questione a Conte, in vista dell’incontro con i sindacati del giorno dopo, e il premier ha chiesto alla Ragioneria di capire se si poteva fare. E così è arrivato oggi alla possibilità di presentarsi in videoconferenza con i sindacati per annunciare la notizia sperata: i licenziamenti sono vietati fino al 31 marzo. Nella legge di bilancio verrà dettagliato l’importo che servirà a coprire il costo di dodici nuove settimane di cassa Covid, da far partire il primo gennaio. Finché un’impresa avrà la cassa non potrà licenziare. Alcune aziende potrebbero usare le 12 settimane da gennaio, arrivare così fino a fine marzo, e poi essere libere di licenziare. Ma altre potrebbero non usarle una dopo l’altra e quindi lo stop ai licenziamenti per loro sarebbe ulteriormente vietato. Il conto lo paga lo Stato. Quattro miliardi.

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