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L'Italicus e la longa manus comunista non proprio extraparlamentare

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Il 4 agosto 1974 un ordigno collocato in una carrozza di prima classe del treno Italicus esplodeva all’una e ventitré del mattino mentre l’espresso si trovava in transito presso San Benedetto Val di Sambro, causando 12 morti e 54 feriti. In piena dorsale tosco-emiliana, giudiziariamente controllata dal Pci.
Luogo che durante la guerra fu sede del Cumer, Comando Unitario Militare Emilia Romagna, composto da comunisti e agenti americani.
Una zona ancora allora militarizzata dalla Stasi, a quanto afferma il professor Possenti, collaboratore di Tambroni e poi di Moro, ospite per 48 ore delle carceri tedesco-orientali.
Quivi, per decenni, numerosi agenti della Germania comunista avrebbero operato indisturbati in cambio delle nostre esportazioni verso Berlino Est. Della formazione sovversiva sembra facessero parte anche tre importanti giudici italiani del nord-est. E non è tutto: il controllo della zona era istituzionalmente affidato al generale dei carabinieri Angeli, genero del capo partigiano comunista Arrigo Boldrini, detto Comandante Bulow. Il generale venne pubblicamente denunciato dal deputato del Msi Beppe Niccolai come agente dell’est e non fu mai da lui querelato. Alla sua morte gli fu rinvenuto in casa un arsenale sovietico.

In questo scenario inquietante si consumò la strage. Una strage preannunciata qualche giorno prima da Giorgio Almirante alla Questura.
Al segretario del Msi si era rivolto un bidello di Fisica alla Sapienza di Roma, Francesco Sgrò, rivelandogli che aveva origliato di un attentato programmato in luglio su un treno che sarebbe partito dalla stazione Tiburtina di Roma.
Davanti alla Polizia lo Sgrò ebbe paura, forse temendo le ritorsioni, e spiegò di avere colto la notizia in facoltà, il che era poco credibile.
Ma un rapporto riservato dei servizi ci viene in aiuto: tra le persone citate in un appunto anonimo si trovavano tre personalità: i reggiani Ennio Scolari, docente universitario a Bologna, e l’avvocato Corrado Costa, poi il regista Mike Formentin residente a Roma.
Caso vuole che Formentin abitasse nello stesso immobile dello Sgrò, il quale probabilmente la notizia l’aveva captata appunto a casa e non all’università.
Le persone chiamate in causa non erano propriamente al di sopra di ogni sospetto.
I due reggiani erano entrambi dell’ambiente del Gruppo 63 finanziato da Feltrinelli; secondo Franceschini era proprio in un casolare di campagna dell’avvocato Costa che i guerriglieri si concentravano prima dei viaggi in Cecoslovacchia, il loro santuario armato.
Sgrò non venne creduto, ma fino a un certo punto.
Maria Fida Moro avrebbe rivelato, e poi confermato il 19 aprile 2004 in un’intervista a Tele Serenissima, che il dirigente di Polizia Santillo colto da una specie di presentimento, avrebbe impedito a suo padre di salire proprio sull’Italicus sul quale avvenne la strage. In prima classe: l’obiettivo era dunque lui?
Perché Moro? Lo odiavano gli israeliani e gli inglesi che godevano di non poca influenza sui cechi.
Lo odiava una parte del Patto di Varsavia, quello contrario all’accordo Dc-Pci e specialmente lo detestavano coloro che nella strategia della tensione svolgevano il proprio ruolo, in particolare la Stasi.
Singolare è che, ad attentato compiuto, nessuno sia tornato sulle rivelazioni di Sgrò.

E non è l’unica singolarità. La signora che gestiva una ricevitoria del lotto di Roma, il 31 luglio colse da parte della sua conoscente Claudia Aiello, durante una telefonata dall’apparecchio a gettoni sito nel locale, alcune parole che l’allarmarono. Come, subito dopo la strage, la signora Marotta riferiva agli inquirenti, ella l’aveva sentita dire: “le bombe sono pronte… treno, Bologna, Mestre”.
L’autrice della telefonata, era una collaboratrice del Sid (Servizio segreto militare) legata alla sinistra greca (che era tra l’altro una riserva di pesca del Superclan delle Brigate Rosse). Venne condannata per falsa testimonianza per aver provato a negare il contenuto della chiamata, però non le fu mai chiesto perché parlasse di bombe e di un treno che, peraltro, aveva lo stesso itinerario dell’Italicus, oggetto dell’attentato due giorni dopo la sua telefonata.

Non è tutto. Il 17 giugno 1975 veniva assassinato a Reggio Emilia il militante dell’ultrasinistra Alceste Campanile che alcune voci dicevano sconvolto dalla strage su cui avrebbe forse intuito qualcosa di troppo, essendone assolutamente estraneo.
Otto anni più tardi circa, il 31 gennaio 1983, il suo docente al Dams s’impiccherà alla vigilia di un interrogatorio previsto in tribunale proprio sull’omicidio Campanile. Chi era il docente universitario? Ennio Scolari.

Anche questa pista verrà ostruita. Un personaggio ambiguo, tal Paolo Bellini di Reggio Emilia, con un presunto e mai documentato fugace passato all’estrema destra, poi però sicuramente legato alla criminalità organizzata, quindi ai servizi e collaboratore di giustizia, si accuserà dell’assassinio del Campanile, senza ovviamente pagarne le conseguenze grazie ai benefici del pentitismo. La famiglia Campanile cercherà invano di far riaprire il processo in quanto le confessioni del Bellini, a suo dire, non corrisponderebbero con la dinamica dell’assassinio del ragazzo e soprattutto del suo presunto rapimento da parte del suo sedicente boia.
Il Bellini riapparirà poi nell’inchiesta sulla strage di Bologna come vedremo più avanti.

Campanile e Scolari: due morti inquietanti in margine alla strage dell’Italicus.
Sgrò, Aiello, Campanile: tre entrate differenti nel medesimo labirinto, ma chiaro è il divieto di inoltrarcisi troppo. Meglio addebitare la strage a un fantomatico Ordine Nero che il 5 agosto 1974 avrebbe rivendicato con un… volantino.

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