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Credere nell’Europa?

Dipende solo dalla prospettiva

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Tra i tanti errori che si commettono ogni giorno c’è quello di dare per scontato che in Europa non combineremo niente perché siamo guidati da una classe dirigente inetta e decadente.

Vero? Sì, ma…
Non è che sia peggiore, anzi è spesso migliore di quella di potenze vere o presunte, come Usa e Russia. Noi l’accusiamo di essere cocainomane e debosciata, ma non è che quelle delle capitali imperialistiche lo siano da meno, così come le loro società non stanno meglio delle nostre.


In Europa abbiamo quattro enormi problemi, dalla dipendenza post 45 – da cui però il capitale e la politica si sono gradualmente svincolati in parte – alla cultura devirilizzata e parricida del post 68, dal crollo demografico alla mancanza di un potere centrale.

Non è poco, ma, pur nella mediocrità non stiamo peggio di chi fa il bullo. Rispetto agli altri il solo gap è l’assenza di un potere centrale, perché sul resto non stanno affatto meglio di noi, anche se ci lasciamo andare a deliri esotici su erbe che immaginiamo più verdi presso i nostri vicini.

Oggi che la ristrutturazione mondiale prevede un calo d’interesse americano nel quadrante atlantico e che la sfida tecnologica ci chiama in causa, la tendenza al riarmo e alla potenza sono difficilmente evitabili. Il che, sia chiaro, per me è una gran bella cosa.


Però si dice che non si vuole morire per quest’Europa, per la von der Leyen, per Macron o contro la Russia.

Slogan! Perché la Russia, causa determinante di questo cambio di scenario, è il pretesto. Non ha il minimo interesse a bombardare l’Europa, vuole sì sottomettere quei popoli che considera suoi schiavi storici, ma ha ampiamente dimostrato che non è in grado di farlo. Una vera e propria tigre di carta.
Armarci serve a divenire potenza, a non farci minacciare da nessuno, a emanciparci dagli americani e a contenere minacce più probabilmente provenienti da sud che da est.

Peraltro non sarà l’Europa della von der Leyen o di Macron o di Mattarella perché questi saranno già scomparsi quando il processo sarà consolidato.
Ma non è solo questione di nomi o di facce, è un fatto di struttura sociale e politica.

Quasi nessuno dei “politici” è altro che non un presentatore, al massimo un mediatore tra quel che resta di Stato (ovvero le strutture burocratiche più il cd deep state), l’opinione pubblica plasmata da media e social e le centrali economiche che, in piena postdemocrazia, sono predominanti comunque e fanno la differenza.

Se non avessimo abbandonato la cultura politica, qualsiasi cultura politica, marxista, fascista, nazionalrivoluzionaria, cristiano-sociale, nazionalsocialista, faremmo i conti con la realtà e non con le immagini, con la sostanza e non con gli slogan.

La sostanza ci parla di un riarmo europeo, con ritorno alla leva ampia se non obbligatoria.
Questo ci può dettare solo due generi di posizionamenti politici. Quando dico politici intendo politici, non atteggiamenti verbosi con teorie soggettive senza fondamento.

Ritornano sempre le due diverse mentalità rivoluzionarie che ben conosciamo.

Quella che intende operare sabotaggio per ottenere una sorta di unità proletaria che poi rovesci il sistema. Cosa che puntualmente si tramuta nel servire il nemico contro la propria terra.

Di contro vi è quella che sceglie di operare (Risorgimento, Interventismo, Arditismo, Fascismo) nella direzione della potenza nazionale senza dimenticare mai, anzi operando per, la trasformazione dei rapporti di forza nella società e per imporre canoni culturali e spirituali comunitari e virili.

Che perfino gli interessi del capitale, oggi, rendono familiari.
Da cui la “denazificazione” di chi vuole impedire che si torni potenza.

Sia ben chiaro che tutto questo si realizzerà da solo, a prescindere da noi e che la cosa più importante per noi è di vivere con stile e ordinatamente, al fine di essere esempio e di non farci cambiare dal mondo, non dobbiamo credere di averne il destino nelle nostre mani.

Questo per essere élite. Per essere avanguardia dobbiamo invece concepire un ruolo attivo nella proiezione della potenza nazionale ed europea e nella sua riconversione, che è molto meno impossibile di quanto ci si affanni a credere, prigionieri come siamo da qualche decennio dell’ideologia della disfatta e dell’impotenza.

Non è indispensabile che tutti si sia avanguardia, lo è che si agisca sul nostro modo di essere e di comportarci, molto più che su quello di ragionare.

Però è indispensabile, anche solo per poter agire su noi stessi in modo più potente, il capire che non sono le classi dirigenti politiche a dirigere la politica.
Il che non significa che lo siano solo i poteri forti: lo sono necessità fisiche e metafisiche che li sovrastano e non dobbiamo assolutamente lasciare che la nostra mente resti prigioniera in schemi rigidi e arrugginiti, perché la tigre va cavalcata, quella della storia e quella della metastoria.

Felicemente. Magari anche con pessimismo entusiastico, purché con entusiasmo.

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