Il 22 gennaio 1945 inizia la parabola di Spinelli il ministro operaio
Il governo dei tecnici,insediatosi in italia e guidato da Mario Monti,è
ormai,per tutti,la risposta obbligata alla crisi economico-finanziaria che ha investito negl’ultimi anni tutto l’occidente ed in particolar modo le economie dette più deboli come appunto la nostra.
Magistrati,professori universitari,militari,banchieri e diplomatici senza
alcun apparente legame partitico o ideologico sono stati messi alla guida dei vari ministeri dalla rinuncia della politica che,abdicando alla sua funzione,ha lasciato il compito di “salvare l’Italia” alla tecnocrazia. Una rinuncia
probabilmente dettata dall’impossibilità,da parte dei partiti,sia dell’ex maggioranza che dell’opposizione,di assumersi l’onere di scelte troppo drastiche che poi avrebbero pagato dal punto di vista della rendita elettorale e più in generale dell’idiosincrasia pluridecennale dei nostri leader nei
confronti di scelte politiche improntate alla sovranità e all’indipendenza nazionale e alla realizzazione di una vera centralità e autorità dello Stato.
In altri momenti della nostra storia gravi emergenze hanno segnato le
scelte di uomini destinati a caricarsi di importanti e decisive responsabilità. Nel gennaio del 1945 il pericolo per l’Italia non veniva certo da agenzie di rating o da spread ondivaghi, ma da paure e privazioni che,la quotidianità della guerra con il nemico praticamente alle porte,faceva gravare sugl’italiani,dal sud “liberato” e affamato come mai,al nord bombardato e dilaniato dalla guerra civile.
Il 22 gennaio 45, quando la parabola della RSI volgeva ormai al termine,Mussolini chiamò alla guida del ministero del lavoro Giuseppe Spinelli già operaio presso un azienda tipografica di Cremona che,un paio d’anni prima aveva assunto la guida del sindacato dei lavoratori dell’industria milanese ed era poi stato nominato Podestà di Milano.
Spinelli iniziò quindi il tentativo di rendere pratica la “socializzazione nazionale”con la realizzazione di riforme che avrebbero portato alla sostituzione della figura classica
dell’imprenditore con quella del “capo d’azienda” socio dei lavoratori organizzati nel sindacato facente capo alla confederazione unica sindacale,alla normalizzazione della gestione dei consigli di amministrazione sia pubblici che privati e l’avvio di una programmazione per la costruzione di case di proprietà per i lavoratori.
Una “rivoluzione nella rivoluzione” venne poi definita,a cui sia Mussolini che altri massimi dirigenti della Rsi tenevano molto.
Per “questioni propagandistiche” direbbero alcuni soloni della storiografia,ma in realtà la compiuta realizzazione della “socializzazione” veniva considerata arma politica importante per ridare,nella pratica socioeconomica,fiducia a un popolo provato dalla guerra e che vedeva,come unica alternativa alle potenze
liberalcapitaliste,la possibilità di una improbabile rivoluzione di stampo sovietico.
E fu,in parte,proprio la “santa alleanza” tra alta finanza e partito comunista a realizzare azioni di sabotaggio e scioperi nelle industrie della valle padana,nella prospettiva da una parte di velocizzare l’arrivo degl’alleati e dall’altra di continuare una poco probabile (visto glI eserciti che risalivano la penisola) guerra rivoluzionaria.
Fu proprio il capo della Rsi a dire “Il colmo è che i nostri nemici hanno ottenuti che i proletari, i poveri, i bisognosi di tutto, si schierassero anima e corpo dalla parte dei plutocratici, degli affamatori, del grande capitalismo”.
Forse ormai era semplicemente troppo tardi. Spinelli partecipò all’ultimo
direttorio del PFR agli inizi dell’aprile 45,prima di espatriare in Argentina,a Buenos Aires dove riprese il suo lavoro di tipografo,e dove venne in contatto con gli ambienti politici contigui al futuro presidente Peron.
Quegl’ambienti,declinazione sudamericana del Fascismo,mutarono la condizione del tipografo Spinelli ancora una volta.
Come avvenne in Italia,fu chiamato dallo stesso Peron come responsabile
all’immigrazione della marina argentina,ma soprattutto come consulente per la realizzazione di un programma di “socializzazione nazionale”.Fino al rovesciamento di Peron nel 1955.
Fece ritorno in Italia in quell’anno divenendo manager aziendale grazie
alle sue ormai numerose relazioni in Sudamerica,senza più occuparsi di
politica.