Daimon

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Il demone che c’interroga e che ci sfida

Dicono – soprattutto ce lo dice Platone – che Socrate parlasse con il suo “daimon”. Il suo demone. Parola che, per i greci, non rivestiva significati negativi. Anzi. Il demone era un’entità intermedia tra gli uomini e gli Dèi.
Per Giamblico appartenente ad un livello gerarchico superiore a quello degli eroi. Che sono semi-divini, in parte umani. Quindi il demone greco è una sorta di “dio minore”. Nulla a che fare con il Diavolo della tradizione ebraico-cristiana…
Tuttavia un certo timore quel demone lo doveva incutere. E, a ben pensarci, lo incute tuttora. Era un’entità non umana. E misteriosa. Che però non se ne stava tranquilla nell’iperuranio, o negli “intermundi” cantati da Lucrezio secondo la dottrina epicurea. No. Lui parlava con l’uomo. Agiva nella sua coscienza. Viveva con lui. Gli poneva domande. Suscitava dubbi. Inquietava la sua vita. Le sue notti.
Una strana forma di angelo custode dei tempi “pagani”. Quelli degli “dèi falsi e bugiardi” per dirla con Dante. Che lo fa, però, senza acrimonia. Senza alcun spirito polemico. Solo citando, per uso, i primi autori cristiani. Forse Paolo Orosio.
Comunque, anche se alcuni hanno voluto vedervi delle somiglianze, il demone di Socrate è molto diverso dall’angelo custode. Non è lì per proteggere, ma per sfidare.
Ti interroga. Ti fa quelle domande sulla tua vita che, da solo, non oseresti mai porti.
Potremmo dire, semplificando, che il demone è la nostra coscienza. Ma sarebbe, appunto, una semplificazione. L’ennesimo tentativo di ridurre tutto ad una psicologia spicciola. Roba al massimo buona per rubriche di rotocalchi popolari.
Piuttosto sarebbe più corretto dire che alberga nella nostra coscienza. In un angolo riposto di questa. Nascosto. Ordinariamente in ombra e silente. Ed emerge nei sogni e, soprattutto, nelle notti insonni. Per costringerci ad un confronto che per tutto il giorno abbiamo cercato di evitare.
Lo aveva intuito Conrad. E lo ha mirabilmente messo in luce Coppola nel tremendo e suggestivo inizio di Apocalypse Now. Che a Cuore di tenebra è, appunto, ispirato.
Di notte arrivano i fantasmi. I nostri fantasmi personali. E il demone, il nostro demone, ce li spiega. Ci costringe a confrontarci con loro. Fantasmi di persone che ci siamo lasciati dietro le spalle. Amori perduti e amori sbagliati. Fallimenti. Tradimenti. Rese e sconfitte. Ci viene voglia di abbandonare tutto. Di fuggire. Di precipitare nell’oblio.
Il demone, però, non ce lo permette. È lo spirito, perennemente inquieto, che non ha né concede riposo. Michail Lermontov lo ha perfettamente descritto nel suo miglior poemetto. Non una fantasia letteraria; un’esperienza pagata con una vita breve ed intensa come poche. Perché quello che chiamano il “Byron russo” trovò la morte a soli ventisette anni, in duello. L’ennesimo dei tanti che costellarono un’esistenza sospesa tra San Pietroburgo e il Caucaso, combattendo contro i Circassi. Di cui ammirava il valore e la ferocia.
Il fatto è che con il nostro demone siamo obbligati a coesistere. Possiamo far finta di nulla, certo. Ma ignorarlo non risolve il problema. Al contrario conduce dritto alla nevrosi. All’alienazione. Che viene, appunto, dal non saperci più misurare con enti, o esseri che sono parte di noi. Per cui ci sentiamo alienati. E pensiamo ad una sorta di scissione, di malattia della nostra personalità. Mentre si tratta di altro. Dell’incapacità di riconoscere queste entità. Il nostro demone in primis. E di confrontarci con lui, senza menzogna.
La soluzione la possiamo trovare in Socrate. Che praticava la maieutica. Ovvero, come una levatrice, faceva nascere nei suoi allievi la conoscenza. La tirava fuori, ponendo domande. Senza dare risposte. Perché domande ben poste sono di per sé sufficienti.
Lo aveva appreso dal suo demone. Lo stesso demone che continua ad interrogarci.

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