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Dall’illusione alla rassegnazione

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Vanno abbandonate entrambe perché i tempi offrono invece una grande occasione

La ristrutturazione del capitalismo, la dittatura della tecnocrazia e la mutazione antropologica globale marciano indisturbate.
La marcia è scandita da trombettieri stonati e da araldi grotteschi, prigionieri della parte che recitano e rimbambiti dall’ossessione puerile d’imporre divieti e obblighi a tutto e a tutti, fino a censurare il passato perfino nelle lettere e nella cinematografia.
Agli albori dell’età transumanista non c’è più limite all’idiozia umana.

Fronte all’avanzata quasi schizofrenica di un Moloch freddo ed efficace acclamato da clowns dementi, c’è ormai soltanto un sentimento diffuso: la rassegnazione.
Sono rassegnati tutti quelli che contavano di frenare il cosiddetto Gran Reset con un cambio di governo, o con la pressione dell’opinione pubblica, o per la crisi di una classe dirigente incapace, ma cionondimeno solidamente in sella e senza tema di essere scalzata.
Sono rassegnati quelli (cioè più o meno tutti) che non avevano le idee chiare, quelli che si aggrappavano alle rassicuranti superstizioni della democrazia o a criteri ottocenteschi di qualsiasi colore e genere, dal marxismo al nazionalismo borghese.
Sono rassegnati quelli (cioè più o meno tutti) che contavano su una reazione di qualsiasi tipo o su una crisi del sistema.
Erano in ritardo di decenni sulla presa d’atto della realtà: avrebbero mai potuto capire come affrontarla?

La rassegnazione all’ineluttabile diventa amara disperazione.
A qualsiasi progetto politico si sostituiscono così deliri di disastri apocalittici, con tanto di angeli sterminatori e di complotti genocidi.
Le sole risposte che si offrono in questa filosofia-armageddon sono la fuga in un ipotetico villaggio gallico o il miracoloso intervento divino all’imminente fine dei tempi.
Apocalisse? In realtà il Gran Reset non è altro che la messa in pari del mentale con la trasformazione tecnologica, sociologica, culturale, politica, in atto da decenni per la rivoluzione satellitare.
Quello che i più paventano che accada non accadrà, per il semplice fatto che le loro paure sono antiche: ciò che temono è realtà già da almeno vent’anni. Ammetterlo è dura, fare a meno delle finzioni rassicuranti uccide; o rende più forti.

Non è più tempo di resistenza (un parola del resto orribile). Non funziona.
Se il re è nudo, se il sistema getta i veli alle ortiche, non c’è da eccitarsi, non ci annuncia nulla di così nuovo, si tratta pur sempre del sistema che ci venne imposto 76 anni fa che non ha fatto che evolvere.
Se perciò vengono meno le illusioni delle sue alternative democratiche, tutto si può fare tranne che disperarsi: dovremmo esserne felici.
La crisi globale – non del sistema ma dei suoi sudditi – è soprattutto un’opportunità.
Per chi sia in grado di ritrovare l’asse in sé, nell’essenziale e nel vero, la sfida si polarizza soprattutto nell’esistenziale. E nuove aristocrazie rivoluzionarie si prospettano, purché all’essenziale si torni ad unire la lucidità d’insieme e la capacità di discernere, di comprendere, di prevedere e di creare.
Non abbiate terrore di fronte al Gran Reset, sorridete. Chi ritrova sé stesso vince. Sempre che un sé stesso ci sia, cosa che non vale per tutti, e neppure per i più. Ma su questo non possiamo farci nulla.
Il Fato sceglierà i suoi.

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