Del nobile appello di Franco Nerozzi, del pasticcio afghano e della globalizzazione
Emergency sì o no? Colpevoli o innocenti? Vittime o terroristi?
Con lo stile dei forum e dei realities, la gente si divide, si spacca, si schiera senza sapere nemmeno di cosa parla.
Toccante, generoso e significativo, irrompe però sulla scena il comunicato di Popoli.
Vi si legge il disappunto, il disgusto verso coloro che condannano Emergency a priori, perché comunista. Categorie vetuste, ci spiegano Franco Nerozzi e i suoi. E, soprattutto, s’indignano con coloro che pretenderebbero due pesi e due misure: magari la galera per gli Emergencys boys e il tappeto rosso per Popoli.
Un sentimento che condivido, e che spesso ho espresso nelle battaglie sul diritto dei prigionieri, sulle domande di estradizione, sui processi politici, perché pretendere privilegi per i propri e annientamento per gli avversari è l’opposto del sentimento fascista, sarà magari estremo-destro, ovvero fazioso, ma dal fascio ha imparato ben poco.
Se poi le colpe dei medici prigionieri sono davvero quelle che alcuni suggeriscono, ossia che avrebbero “curato dei talebani”, non ci si può che stringere a loro difesa.
Tuttavia noi non sappiamo cosa sia accaduto realmente, non abbiamo idea di che giochi siano in atto.
L’Afghanistan è un rebus: anzi un incrocio di rebus. Tra droga, armi, gasdotti, influenze territoriali e geopolitiche, è tutto un intreccio di doppi e tripli giochi mortali e assassini che coinvolge – spesso in guerre intestine tra “alleati” – tutte le potenze medie e grandi e buona parte dei loro vassalli.
Che ruolo giocano in questi intrighi le Organizzazioni Non Governative (ONG)?
Non ho certezze ma francamente nutro non pochi dubbi. D’altronde ho già indicato anni fa in “Nuovo Ordine Mondiale” le Ong come uno dei terminali del neocolonialismo multinazionale. Magari controverse, ambigue, contraddittorie nell’operato, ma sostanzialmente funzionali alla globalizzazione.
Emergency è precisamente una Ong, qualcosa che Popoli non ha nemmeno provato a diventare.
Magari non sarà un parassita alimentato dalle idrovore stile Telethon, forse i suoi volontari non intascheranno gli emolumenti faraonici saltati fuori all’epoca delle peripezie delle due Simone.
Mettiamo pure che alcuni di essi si comportino come i medici di Popoli, ovvero che rinuncino a tutte le ferie per spenderle nella foresta, a rischio della vita, a curare i bisognosi, non solo senza intascare un centesimo ma pagandosi le spese di viaggio.
Mettiamo ancora che siano capaci di far fruttare i fondi e che si distanzino dunque da tutti i profittatori. Mettiamo che non ci facciano venire la rabbia, come accade quando pensiamo che con la stessa cifra con cui abitualmente si pagano due salari mensili di “volontari” buonisti, Nerozzi e i suoi riescono a far vivere per un anno intero tutta la struttura sanitaria per l’intero popolo Karen.
Mettiamo quindi che la gente di Emergency, a differenza di molti altri, non sia da corte marziale.
Mettiamo tutto questo, e aggiungiamoci pure che l’arresto dei loro medici non ci lascia indifferente e che per ora siamo con quelli che ne pretendono il rilascio, ma i dubbi politici permangono e non dipendono dal fatto che lo stagno di pesca di Strada & co sia “comunista” ma dal loro ruolo politico e strutturale.
Perché con l’aiuto di poche, esili, strutture amiche, la più attiva delle quali è l’Uomo Libero di Trento, l’organizzazione di Franco sostiene e sviluppa in loco la cultura Karen; e poi il nome che si è dato, oltre ad essere significativo, è italiano: “Popoli”.
Questi altri invece hanno scelto di darsi un nome inglese, che sarà anche più efficace ma non è innocente. E poi il suo significato, emergenza, sottintende un sentimento di globalità, di uniformità, di un unicum su cui intervenire, sia pure per correggerlo.
Un unicum che parla e pensa anglosassone, non la ricchezza di un pluriverso.
Non discuto il fatto che faranno anche del bene, ma nell’insieme non riesco a concepirli come qualcosa di realmente positivo. E provo un sentimento molto diverso per loro e per Popoli: non solo per le loro origini diverse, che si rivelano poi nei frutti, ma perché esprimono differenze assolute; non tanto politiche quanto di civiltà.
Per il pasticcio afghan si vedrà, ma a metterli sullo stesso piano di chi la globalizzazione la sta affrontando davvero, per quanto modesto, generoso e nobile sia costui e per quanto me lo chieda, io non sono disposto.