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Fronte popolare?

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Si prospetta un governo sinistre – cinque stelle

Certo, è una questione di “garbo” istituzionale. Perché è chiaro che se un leader di partito, peraltro rappresentativo, chiede un incontro al Quirinale, sarebbe poco educato negarlo. Si correrebbe il rischio di creare un “caso”. Né può sfuggire che Di Maio, proprio per evitare incidenti diplomatici e critiche di “irritualità”, ha chiesto il colloquio al segretario generale del Colle, Ugo Zampetti. E solo con Zampetti si è svolto: dunque con un “funzionario”, non con un “consigliere politico” del presidente, che avrebbe conferito allo scambio un carattere di formalità e una evidente, quanto irrituale, solennità politica, quasi ci fossero delle consultazioni prima del voto.
Semplicemente impensabile, conoscendo il rigore istituzionale, tanto ferreo quanto sobrio, dell’inquilino del Colle. Di ministri e liste di nomi si parlerà, evidentemente, dopo il voto e dopo che sarà chiaro quale sarà la maggioranza possibile, in grado di formare un governo. Non c’è nulla di misterioso o di nuovo da sperimentare nella prassi e nelle prerogative del capo dello Stato. Per capire come si comporterà Mattarella basta rileggere l’articolo 92 della Costituzione: “Il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri”.
Si parla, in questa lunga attesa, dell’incertezza elettorale. E lo scambio di venerdì scorso conferma che i canali di comunicazione tra Quirinale e Cinque stelle sono numerosi e attivi. C’è, in atto, un “gioco politico”. A partire da Luigi Di Maio. Perché la mossa rappresenta non solo uno “spot” elettorale ma un altro tassello politico del tentativo, non sempre lineare e coerente, di apparire una “forza di governo”, affidabile, credibile, che non spaventa né l’elettorato né le istituzioni e l’establishment, italiano ed europeo. E perché Mattarella, che questa evoluzione la segue con attenzione, si predispone a gestire il dopo voto con spirito aperto e animo inclusivo, senza uno schema pre-ordinato che tiri fuori nessuno.
È la famosa “pagina bianca” di cui parlò nel discorso di fine anno. Rispetto ad allora, se possibile, ci sono ancora meno certezze, a fiutare gli umori e le tendenze che aleggiano nel paese. E delle novità non banali. Se il centrodestra conquistasse la maggioranza, alla Camera e al Senato, è chiaro che l’incarico sarebbe inevitabile, e dovrebbero indicarlo i partiti vincitori delle elezioni. Ma lo scenario viene valutato, al momento, poco probabile. Assai meno la prospettiva di un governo di larghe intese, resa più lontana, rispetto a qualche mese fa, dalle difficoltà del Partito democratico. Perché la sensazione è che le difficoltà del Pd abbiano innescato una dinamica nuova anche a destra. Si è rivelata fondata la preoccupazione di Gianni Letta che, sin da quando si discuteva della legge elettorale, aveva messo in guardia dalla “salvinizzazione” della dinamica politica che avrebbe reso più complicate le larghe intese. È difficile che Berlusconi, per quanto sia predisposto, possa rompere con la Lega in nome di un accrocco precario, ammesso che ci siano i numeri e la volontà, con Pd, Leu e centristi vari. Tra qualche mese si vota in Friuli, il prossimo anno in Piemonte (c’è già un candidato comune), tra due anni in Liguria e Veneto. Sarebbe assai costosa in termini elettorali una rottura del blocco del Nord.
L’unico punto fermo al Colle è che il ritorno rapido alle urne, invocato dai partiti nell’effervescenza elettorale, è davvero l’extrema ratio. Il capo dello Stato ricorrerà a tutta la sua profonda pazienza e antica sapienza per far svelenire il clima e far riflettere le forze politiche, anche dopo qualche tentativo andato a vuoto, per far nascere un governo. Provando a portare i partiti alla consapevolezza che è necessario un compromesso serio. E secondo l’antica sapienza l’incarico non è una medaglia da appuntare sul petto di chi arriva primo, ma un mandato da affidare a chi riesce a mettere in piedi una maggioranza in Parlamento. E qui c’è una novità possibile nel gioco dei Cinque Stelle, che spiega l’incontro di venerdì. Fino a qualche settimana fa, nei comizi e nelle dichiarazioni pubbliche, Di Maio amava ripetere: “Se saremo il partito più votato, Mattarella dovrà darci l’incarico”. Una frase apodittica che lasciava intendere, in caso contrario, vibranti proteste, con folle pronte a marciare davanti al Parlamento in nome del golpe subito. Poi, il cambio di registro: “Se vogliono fare il governo devono passare per noi”.
È un dettaglio non irrilevante e notato da chi, al Quirinale, appartiene a una generazione abituata alle sfumature. E che fa ragionare su un altro schema possibile, ovvero un governo non ‘dei’ Cinque Stelle, ma ‘con’ i Cinque Stelle. Che li coinvolga. Ed è proprio questa predisposizione a stare nel gioco che è stata colta in queste settimane di contatti. In questo schema, si ragiona sulla famosa pagina bianca, i potenziali interlocutori inevitabilmente sono il Pd e Liberi e Uguali, che potrebbero convergere su pochi e limitati obiettivi. Si sa che Mattarella non ami parlare di “governo del presidente” perché la formula evoca un interventismo e un ruolo da “regista” che considera poco rispettoso del Parlamento. Piuttosto si immagina come un “facilitatore” di una intesa che, comunque, spetta alle forze politiche e dovrà nascere in Parlamento, non al Colle. La fantasia della politica italiana ha prodotto parecchie formule, come il governo di scopo, che dà l’idea di una missione a tempo, tra diversi, e circoscritta. Ma non è un fatto semantico e di formule. Molto dipenderà anche dalla dialettica all’interno dei partiti e dalla tenuta delle loro leadership rispetto all’esito elettorale, ma tra i ragionamenti di questa lunga attesa c’è anche lo schema di un governo sostenuto da Pd, Cinque Stelle e Lei. Conta l’approccio, diciamo così, moroteo, prima dell’esito. Nel senso di inclusivo e realistico, proprio di chi attende il risultato elettorale senza alcuna predisposizione a una nuova “conventio ad excludendum”. E chissà se è un caso che al Quirinale si respira un’aria tranquilla, finita questa sorta di istruttoria pre-elettorale.

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