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Gaudeamus, la crisi è finita!

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Letta, Alfano, l’Fmi, l’Italia e l’Europa

Cosa induce Letta ed Alfano ad annunciare trionfanti la ripresa nel 2014? Sono semplicemente pazzi?
Probabilmente hanno letto di sfuggita (o si sono fatti leggere di sfuggita) le previsioni di gennaio dell’FMI.
Queste previsioni si rivelano ottimistiche in quanto il commercio mondiale di merci e servizi è tornato a crescere ad una velocità maggiore rispetto a quella del PIL.

Quelli che si sono ripresi
Fuori dal tunnel, quindi?
Per affermarlo si dev’essere ignoranti o ciarlatani, perché poi le cifre vanno lette.
Tra le “economie avanzate” ride l’accoppiata anglo-americana. Gli USA hanno una ripresa del 2,8% e la Gran Bretagna del 2,4%.
L’Eurozona invece stenta (1%) perché Francia, Italia e Spagna (Grecia e Portogallo non contano) sono delle palle al piede che frenano la ripresa tedesca (1,6%)
Il primo dato che salta agli occhi è che la crisi globale provocata dalle banche americane e da quelle inglesi è stata pagata dagli altri, in primis dai Paesi dell’Eurozona sotto attacco da parte delle speculazioni e dal rating di Wall Street e inchiodati dagli accordi di Basilea che ne impediscono la ripresa.
L’Eurozona si trova di fatto sotto un insieme di fuochi incrociati, ancor più efficaci vista la condizione né carne né pesce di un’Europa incompiuta, anche dal semplice punto di vista capitalistico.

Miseria e ricchezza
Se il ritmo mondiale previsto per il 2014 sembra ritornato nella media degli anni prosperi (1995-2004), il passaggio nel tunnel ha acuito le differenze sociali e il classismo.
L’America, che è l’artefice principale della crisi globale, durante la crisi conclamata (2009-2013) in cui è riuscita a far pagare il conto agli altri, ha distribuito i nuovi guadagni in queste proporzioni: il 95% all’1% della popolazione.
Il modello che si staglia all’orizzonte è dunque classista e ci promette povertà e miseria di massa.
Contrastante e contraddittorio l’andazzo dei Paesi in Via di Sviluppo.
India, Brasile, Turchia, Indonesia e Sud Africa sono stati etichettati come “i cinque fragili”.
Per il momento sembra cavarsela invece la Cina, controversa è la situazione russa.
Mentre i conti astratti sembrano migliorare, dal CFR americano viene invece segnalato il calo di produttività il cui fattore mondiale sarebbe crollato, nel 2013, a livello zero.
Solo questo dato dovrebbe gelarci il sangue.

Quelle tentazioni anti-Euro
L’Italia sta particolarmente male: palla al piede dell’Eurozona, con pressa fiscale su consumo, produzione, proprietà, risparmio e senza alcuna politica industriale o agricola, con gli asset in svendita, è tra i messi peggio in assoluto. E, soprattutto, senza che s’intravveda alcuna possibilità di cambiamento.
Ne emergono richiami apocalittici al ritorno all’Arcadia (la Lira) con il mito della svalutazione.
Si evita di mettere in conto i costi delle materie prime e dell’energia che crescerebbero esponenzialmente (le stime parlano del 30%). E’ tutto da dimostrare che la svalutazione avrebbe effetti positivi per l’economia. In ogni caso sarebbe disastrosa per tutti i salariati e per i sottoccupati.
Ma tant’è: basta lanciare slogan.
Come si possa competere in un’economia mondiale che si stratifica e si articola, con tanto di crescita improvvisa dell’Africa subsahariana e di rivoluzione di quella mediterranea, non sembra preoccupare granché i nostalgici del provincialismo Dc.
I Paesi deboli dell’Eurozona cosa combineranno se usciranno, sic et simpliciter dall’Euro?
Cosa farebbe la Grecia, con un PIL annuo inferiore a quello cinese di un giorno e che produce feta e olive? Diventerebbe una provincia turca o un’appendice qaedista o, più probabilmente, verrebbe smantellata con la costruzione del progetto sorosiano della Grande Macedonia Cosmopolita, con capitale Salonicco e con amplessi nel Kosovo.

L’Europa centrifugata
La soluzione per le economie deboli nell’Eurozona passano per la rinegoziazione delle condizioni d’adesione, e probabilmente per la costituzione di una fascia B, su cui abbiamo insistito spesso.
Questa fascia B che acquisirebbe una sua disinvoltura non garba alla City e a Wall Street che, per meglio speculare sull’Eurozona e per tenere l’Europa al laccio stanno operando per spaccarla e spezzettarla.
Se ad est si fa leva politicamente (Ucraina e gay) per cercare di dividere la Germania dalla Russia e di farla rigettare dalla SCO, a sud si cerca di acuire la germanofobia (alimentando al tempo stesso in Germania il fastidio per il sud parassita).
Sanno bene, gli angloamericani, che dalla Germania la reazione logica è quella annunciata della costituzione di una Kerneuropa; della creazione di un “trattato dell’Euro” che istituzionalizzi il nocciolo duro intorno all’Asse Renano.
Senza la costituzione di una fascia B all’interno dell’Eurozona la periferia sarà preda delle “primavere arabe”. E l’Europa, renanizzata, non avrà più vocazione mediterranea né aspirazioni agli Urali; dunque sarà morta.
Se – come vogliono gli angloamericani e puntualmente abboccano i populisti – si riuscirà a dividere l’Europa in tre, rintuzzandola dalla cooperazione con la Russia e spingendo i PIIGS fuori dall’Euro, l’Europa Carolingia ne verrà anche fuori (e noi assolutamente no) ma senza alcuna potenzialità futura e resterà in balìa delle nuove ondate globali.

Volontà politica
Benché ciancino di mercato sovrano, l’essenziale in materia è e resta la volontà politica dei maghetti della finanza e del partito wasp.
La volontà politica è quella di tenere l’Europa a metà del guado, sotto ricatto continuo e sempre debole.
La soluzione sta nella forza e nella coesione d’acquisire, ovvero controcorrente sia rispetto a quella che è oggi l’essenza di una politica retoricamente europeista ma federal-capitalistica affidata ai commis di Goldman Sachs, sia rispetto alle reazioni euroscettiche.
Senza coesione, senza identità, senza cooperazione, senza forza militare, il tutto adeguato ai tempi, non si può neppur vagheggiare non dico di sovranità ma neppure di un’autonomia parziale.
L’euroscetticismo è l’altra faccia dell’europeismo montiano: uccidono l’Europa e l’Italia.

Le ultime manovre
Che la finanza operi politicamente – e che lo faccia in odio all’Europa come cultura, potenza ed etnosistema – continuano a dimostrarlo un po’ tutte le mosse.
Il Financial Times ha stilato la lista dei Paesi in cui è necessario intervenire per correggerne le economie. Ci troviamo la Polonia (che di recente ha voltato le spalle a Londra per orientarsi verso Berlino), l’Ucraina (che deve essere libanizzata) e l’Ungheria…
Nel frattempo proseguono le manovre per la disarticolazione del blocco potenziale.
Se da una parte si spinge per una fuoriuscita dei PIIGS, dall’altra si cerca di recuperare la Turchia.
Lì sono in atto le grandi manovre contro Erdogan per sospingere un suo compagno di partito, Abdullah Gul, terminal del movimento confessionale Hizmet, già funzionario della Banca islamica di sviluppo di Gedda, in Arabia Saudita, bene accetto agli americani, sostenuto dalla magistratura locale che contro i vertici di Erdogan procede all’italiana.
Gul dovrebbe chiudere con l’eccezionalità anatolica e riportare la Turchia verso l’Occidente e forse nella UE dis-europeizzata.
Con una serie di conseguenze facilmente deducibili e, tra le altre, dopo gli effetti delle “primavere arabe”, la definitiva chiusura di qualsiasi ruolo geo-economico di quel che resta della nostra Penisoletta.

Letta e Alfano
Queste sono le grandi manovre in atto all’interno della gestione di una crisi mondiale che, finora, sta beneficando solo quelli che l’hanno prodotta (USA e Gran Bretagna) benché a discapito delle loro stesse popolazioni.
Comunque vadano a finire le varie partite in gioco, l’Italia è destinata a pagare e solo a pagare.
Ammesso che di qui a poco esista ancora un’Italia
Ma Letta e Alfano ci vantano serafici la ripresa.
Che possiamo dire di fronte a tanta sicumera? 
Pagliacci…

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