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GLI IRACHENI ADESSO VOGLIONO LA LIBERTA’

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È l’ora dell’Onu. Ci contano gli americani per legittimare a posteriori la loro occupazione. Ci conta il governo italiano per tirarsi fuori da una situazione sempre più imbarazzante e pericolosa. E ci conta anche l’opposizione di sinistra per poter dare un appoggio ai nostri soldati e non passare per disfattista.

Sono pie illusioni quando non espressioni di malafede. L’Onu conta come il due di picche in una vicenda come quella irachena. Per due ragioni, una generale e una particolare. In linea generale l’Onu è una organizzazione completamente delegittimata. E a delegittimarla hanno contribuito in modo decisivo le democrazie occidentali. Prima con Israele che non ha mai rispettato le risoluzioni Onu che lo riguardano, una trentina circa, più di recente, e più gravemente, con l’aggressione alla Jugoslavia avvenuta senza l’avallo dell’Onu e in suo spregio e ora con l’invasione e l’occupazione dell’Iraq, sempre contro la volontà dell’Onu. Le Nazioni Unite vengono utilizzate dagli americani solo per mettere un cappello sui fatti compiuti. Che credibilità può avere un’organizzazione così conciata?

Ma, a parte questo, il fatto è che, Onu o non Onu, gli iracheni non vogliono truppe straniere sul proprio territorio. L’occupazione angloamericana, avvenuta nel peggiore dei modi, come ormai ammettono tutti, sia per la mancanza di alcuna valida giustificazione sia per le maniere feroci e idiote con cui è stata attuata, ha talmente scaldato lo spirito nazionale di quelle popolazioni da unire comunità divise da odi antichi e recentissimi come quella sunnita e sciita.


Agli iracheni non importa assolutamente nulla che il governo provvisorio abbia il beneplacito dell’Onu oltre che degli Stati Uniti, vogliono farselo loro il governo. Non stanno buttando il loro sangue per poi trovarsi sul groppone un governo fantoccio, alla Karzai. E non gli interessa nulla di arrivare a un nuovo equilibrio con un metodo democratico, estraneo alle loro tradizioni. E in ogni caso, tolto di mezzo Saddam, ciò che vuole la maggioranza degli iracheni, che, com’è arcinoto, è sciita, non è una democrazia, ma una teocrazia sul modello iraniano. Ogni altra e diversa soluzione, pilotata dall’alto, è una violenza al popolo, iracheno. Ecco perché oggi a battersi con maggior convinzione contro le truppe straniere sono proprio quegli sciiti che nei calcoli degli americani dovevano essere i loro migliori alleati poiché erano stati, insieme ai curdi, vittime delle violenze del sunnita Saddam Hussein. Il risultato è che oggi, a parte la componente curda che spera di ricavare dalla situazione un’indipendenza sognata da un secolo, è l’intero Iraq, sciita e sunnita, a essere insorto, una situazione insostenibile.

Intanto dalle cronache degli inviati in Iraq, rese più libere e veritiere dal fatto che nessuno può più addebitare quel che sta succedendo a delle schegge terroristiche, emergono particolari che sarebbero esilaranti se la situazione non fosse così drammatica. Andrea Nicastro, uno dei giornalisti rimasti intrappolati nella Cpa di Nassiriya, racconta come a comandare le operazioni in loco non siano i militari italiani, quelli del San Marco, ma i mercenari filippini, assoldati a mille dollari al giorno da una compagnia privata di sicurezza, la Triple Canopy. Sono stati loro ad ordinare, l’altro giorno il «tutti a terra» quando è cominciato l’assedio. E sempre Nicastro racconta come il vicegovernatore britannico della Cpa, Rory Stewart, abbia detto, papale papale, al capo americano dei mercenari filippini che «il comandante italiano dei marò del San Marco è troppo giovane e sembra sul punto di cedere psicologicamente, in caso di problemi seri è meglio puntare sull’ufficiale dei paracadutisti» (Corriere della Sera, 15, 5). Intanto i nostri militari che dovrebbero essere lì per garantire la sicurezza altrui riescono a malapena a salvaguardare la propria molto probabilmente con accordi sottobanco otto ore di assedio e di fuoco durante le quali sarebbe stata rovesciata sulla palazzina della Cpa ogni sorta di proiettile senza che ci sia un morto non può che essere il frutto di un accordo, del tipo: noi fingiamo di attaccarvi, senza affondare davvero i colpi, e voi ci lasciat

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