La “liberazione” venne dal cielo e mostrò il suo volto
Agosto ‘ 43, il cielo nero sopra Milano, il bombardamento raccontato da uno che c’ era, di Andrea Damiano (Rosso e grigio, il Mulino).
Milano fu bombardata quasi ininterrottamente dal 7 al 15 di quell’agosto.
All’alba ero a Milano. Il cielo, che fuori era sereno e in pace, sulla città era velato e fosco. Regnava un silenzio di morte, radi i passanti, e quei pochi agitati e frettolosi. In Carrobbio (ancora intatto, doveva essere distrutto la notte del sabato) scorgo a una finestra uno che in posa placida guardava il mattino: e quel particolare insignificante doveva acquistare per contrasto uno strano spicco rispetto a quello che mi aspettava piu’ in la.Percorro via Torino, sono vicino al Duomo, la ardeva un intero caseggiato, e non si poteva passare. Tento una diversione per piazza San Sepolcro, ma un altro palazzo che brucia mi sbarra il cammino. Il fumo mozzava il fiato. Percorro una viuzza laterale all’ Ambrosiana, sono in via Orefici, sbocco in piazza. Nel bel mattino gli incendi facevano corona al Duomo, spettrali, luccicanti, con una loro furia splendida. Non si vedeva quasi gente, fra quei roghi fumiganti la cattedrale appariva remota, i marmi avevano assunto un color livido di cadavere. Il fumo sempre più denso insaspriva, tra aliti ardenti che svampavano da ogni lato. I palazzi incendiati rosseggiavano con una magnificenza taciturna, colmi del fuoco che lingueggiava dai buchi neri delle finestre, dai portoni, oltre i tetti caduti, orrido e glorioso. Arrivo in piazza della Scala, Palazzo Marino, il Filodrammatici e la Scala bruciavano. Vidi gente che trasportava fuori oggetti, molti dei quali accatastava sull’aiuola del monumento a Leonardo da Vinci. Tre uomini si affannavano ad arrotolare un vasto tappeto. Nel cielo, tra il fumo, volavano colombi spauriti. Il sole luccicava sui selciati seminati di frammenti di vetro. La galleria era una voragine nera e sconvolta. Via Manzoni ardeva nel caldo mattino come una torcia. Veniva di la un calore infernale, ardevano palazzi gialli, dentro dei quali l’ incendio aveva mugolii voraci, da fiera. Mi inoltro in quel corridoio di fuoco tenendomi nel mezzo, un fazzoletto bagnato contro la bocca. Qua e la erano accorsi pompieri con idranti e autopompe, ma quei loro solitari zampilli nel mare di fuoco apparivano incongrui, teorici. All’ angolo di via Bigli un palazzo, sventrato da una bomba, aveva rovesciato le sue interiora nella via Manzoni, e per metà l’ ostruiva. Tra monti di macerie arrivo agli archi di Porta Nuova, li passo. Ovunque devastazione. In via Principe Umberto l’effetto delle dirompenti era terrificante. Una bomba, caduta all’ angolo della via Fatebenefratelli, aveva scoperchiato il Naviglio. In giro si apriva uno spettacolo indicibile di rovine; e nessuna voce umana; e quel sole sempre più velato e fosco nell’ infittire del fumo.(…) Dall’alto della mia casa, miracolosamente intatta, vidi Milano nascosta da un’ apocalittica chioma di fumi. E dal basso saliva un brusio vasto e diffuso, non i rumori soliti della città,con scampanellii di tram o cigolio di carri. Nulla(…). Scendo in istrada, ora si vedeva gente passare a gruppi come di corsa, i volti asciutti e bianchi. Una donna ne riconosce una vicino a me, le si avvicina, da in un suo pianto senza lacrime, più lagno di bestia che pianto umano; la voce antichissima della femmina nella calamità. Torcendosi le mani narra all’ amica la rovina della sua casa, le tremava la bocca, era uno smaniare iroso e cantato, una litania in dialetto.(…) la mia casa era il mio orgoglio, el me marit el lavurava e serim cuntent, ora è soldato chissà dove, e quando tornerà non troverà più niente: piu nint, meij vess mort che cunsciat a inscii.