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I nemici sull’altra sponda

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Inghilterra, Russia e Turchia in Libia

Gravi minacce e accuse contro Eni in Libia, il Paese nordafricano ex alleato numero uno dell’Italia oggi diviso tra due amministrazioni rivali. Il premier “ombra” Fathi Bashagha, ex pilota d’aerei a capo del governo parallelo dell’est, accusa l’azienda di San Donato Milanese “di voler modificare le quote delle partecipazioni nelle aree offshore libiche, a grave danno degli interessi sovrani della Libia e del suo popolo”, intimando “di cessare immediatamente queste pratiche che rischiano di danneggiare gli storici rapporti tra Italia e Libia”.
Insinuazioni che ricalcano il contenuto di una lettera indirizzata al premier di Tripoli, Abdulhamid Dbeibah, dal ministro del Petrolio dell’esecutivo riconosciuto dalle Nazioni Unite, Mohamed Aoun. Quest’ultimo, da tempo ai margini del governo e relegato all’irrilevanza, fa trapelare una missiva in cui accusa Eni di “comportamento estorsivo” e consiglia al suo capo “di riprendersi le scoperte offshore”, in una sorta di appello alla nazionalizzazione in stile Jamahiriya. Ma perché tanto astio nei confronti dell’azienda italiana? Ci sono almeno due motivi: le recenti, grandi scoperte di idrocarburi nel Mediterraneo centrale; le eterne faide dei politici libici.

La maxi-scoperta dell’oro blu
L’azienda italiana ha effettivamente scoperto grandi quantità di petrolio e gas che fanno gola a molti in Libia. “Abbiamo scoperto molto petrolio e gas, soprattutto gas”, ha detto l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, a margine della conferenza Med Dialogues tenuta a Roma a inizio dicembre. Già a novembre, il nuovo direttore della National Oil Corporation, Farhat Omar Bengadara, aveva dichiarato che Eni e la britannica Bp cominceranno presto a produrre “oro blu” da un nuovo maxi-giacimento che è ancora più grande di Zohr, il giacimento “gigante” egiziano considerato il più grande del Mediterraneo. Secondo Bengdara, Eni è pronta a investire fino a 8 miliardi di dollari in Libia per sviluppare la produzione di gas nell’ovest del Paese. Ma il progetto non è ancora partito. Il Paese è instabile e diviso fra due governi rivali: pianificare un business plan a nove zeri in queste condizioni è decisamente complicato.

L’eterna lotta per il potere
A ben vedere, le accuse contro Eni sono infondate e rappresentano un maldestro tentativo di trascinare l’azienda italiana nella faida tra le coalizioni rivali che si contendono il potere. Da una parte c’è il governo di Tripoli che occupa il seggio all’Assemblea generale dell’Onu, detto di “unità nazionale” ma molto meno unito di quanto sembri: basti vedere le azioni di Aoun, un ministro ormai esautorato e disposto a far deragliare le trattative per ripicca.
Dall’altra parte, a est, c’è il governo Bashagha designato dalla Camera dei rappresentanti, detto “di stabilità nazionale” ma senza una stabile dimora e privo potere: in realtà è il generale Khalifa Haftar a governare questi territori con la forza delle armi. E il feldmaresciallo ha saputo riposizionarsi lontano dai riflettori dopo le sconfitte e gli errori di Bashagha, accordandosi sottobanco con Dbeibah per nominare Bengadara, un suo uomo, a capo dell’azienda più importante del Paese: la National Oil Corporatio, il partner di Eni in Libia.

Il paradosso della Libia
A smentire le illazioni di Bashagha e Aoun, passate sotto traccia in Italia, ci ha pensato proprio la Noc. In un comunicato ripreso e tradotto in italiano dall’Agenzia Nova, l’ente petrolifero statale libico precisa che le trattative con il partner italiano riguardano la percentuale di recupero dei costi di capitale e non le quote delle partecipazioni nelle aree offshore al largo della Tripolitania. Non è tutto. La National Oil Corporation avverte che la produzione dai giacimenti di gas attualmente in funzione inizierà a diminuire a partire dal 2025: “Se questa perdita non sarà compensata con investimenti e aumentando la produzione, lo Stato libico sarà costretto a importare gas per alimentare le centrali elettriche a gas”. E’ il grande paradosso della Libia, un Paese membro del cartello Opec che rischia di dover acquistare idrocarburi dall’estero nonostante la fortuna di “galleggiare” sopra le più grandi riserve petrolifere dell’intera Africa. E senza i partner internazionali del calibro di Eni e Bp, la Libia non ha le competenze né i fondi (che sono tuttora congelati all’estero per effetti delle sanzioni Onu) per sviluppare nuovi giacimenti.

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