Della marcia dei 40mila ne hanno solo sentito parlare o la ignorano del tutto. Ma certo vivono sulla loro pelle l’esito di quel giorno. I giovani residenti in Italia tra i 18 e i 30 anni (nati tra il 1980, anno della storica rivendicazione dei quadri Fiat, e il 1992) sono 8milioni 605mila 654 (fonte Istat). E solo poco più di 728mila (secondo i dati forniti dalla Cgil, Cisl, Uil e Ugl), per una percentuale inferiore al 10%, sono iscritti a una di queste quattro sigle sindacali.
GENERAZIONE SENZA RAPPRESENTANZA – Fanno parte della generazione-fantasma. Spesso non trovano lavoro. Percepiranno poco o nulla quando andranno in pensione. E soprattutto non hanno più «quel rapporto identitario con il sindacato proprio degli anni ’70», ammette Ilaria Lani, responsabile con delega ai giovani della Cgil. I dati diffusi dai confederali fanno impressione: la Cgil è da poco sotto la direzione-Camusso e ha poco più di 26mila iscritti su base nazionale nella fascia di età sotto i 31 anni e invece più di 457mila sopra i 65 anni (oltre diciassette volte tanto), quando l’attività lavorativa è di fatto conclusa. L’Ugl, percepita dall’opinione pubblica come la più attiva nei tesseramenti, conta tra i suoi circa 164mila under 30 (poco più del 30 per cento), la Cisl 323mila (solo il 14,2 per cento degli attivi), la Uil 315mila (14,8 per cento su un totale di 2,2 milioni di tesserati). Ma i dati vanno depurati per difetto, perché i sindacati non hanno alcun obbligo di trasparenza sulle cifre. Non hanno personalità giuridica, né devono registrarsi presso uffici locali o centrali, tant’è che il portato dell’art. 39 della Costituzione negli ultimi tre comma è di fatto inapplicato, nonostante la stipula di contratti collettivi sia valida erga omnes, secondo l’ultima sentenza giurisprudenziale.
LA QUESTIONE DEL RICAMBIO – Logico che i confederali sentano l’esigenza di un ricambio generazionale: «Il sindacato soffre spesso di un approccio gerontocratico, ma non c’è sfiducia da parte dei giovani, semmai mancano i momenti di contrattazione collettiva», conferma la Lani. Antonio Polica, segretario confederale Ugl, crede che il problema sia «la soglia anagrafica d’indipendenza che ormai si è elevata a 35 anni» e Liliana Ocmin, con delega ai giovani per la Cisl, sottolinea che la criticità «è nel passaggio tra l’università e il mondo del lavoro, ma nella finanza e nell’energia s’intravedono segnali di risveglio». In controtendenza Carmelo Barbagallo, segretario organizzativo Uil, che parla di «giovani meno politicizzati, ma più sindacalizzati, perché le lotte studentesche sono scemate e ora il problema è trovare lavoro». Già il lavoro, ma spesso le logiche sindacali premiano chi ha già un’occupazione, rappresentandone interessi e istanze. E chi è inattivo, spesso diventa anche rinunciatario «perché è convinto di non avere diritto, per esempio, all’indennità di disoccupazione se in possesso di alcuni requisiti», teorizza la Lani (Cgil). Non rivolgendosi a chi potrebbe fare da megafono delle sue richieste: appunto, l’associazionismo.
I sindacati hanno fatto il loro tempo. Organismi di filtro e di sottopotere che hanno smorzato e deviato ogni istanza popolare, oggi si trovano al di fuori delle nuove dinamiche sociali e lavorative.
Serviranno altri organismi, più leggeri, più autonomi, più spontanei, rifacentisi a logiche sociali e nazionali e ispirati dal sindacalismo rivoluzionario.
Il futuro, neppur troppo lontano, lo richiederà immancabilmente.
