
Bankitalia vs Vaticano e i buffi
Non c’è nessun sospetto da parte di Bankitalia su possibili attività in odore di riciclaggio. Ma c’è di sicuro la constatazione che in Vaticano, nonostante il terremoto che alcuni mesi fa ha colpito lo Ior, mancano ancora una legislazione bancaria e finanziaria adeguate in un sistema di vigilanza a prova di frodi. Elementi di trasparenza che gli uomini guidati dal governatore Ignazio Visco considerano indispensabili.
E’ questa la ragione per la quale Via Nazionale ha bloccato, dall’1 gennaio, il servizio attraverso il quale Deutsche Bank Italia, da oltre 15 anni, garantiva una parte del flusso dei pagamenti elettronici Oltretevere (carte di credito, bancomat e Pos). Uno stop che fatalmente limita parte delle transazioni al solo uso del contante, agli assegni e ai bancomat dello Ior. Per spiegare l’accaduto, senza però togliere durezza all’intervento di moral suasion, gli uffici della Banca d’Italia ieri hanno ricostruito la vicenda affermando che da un’ispezione effettuata nel 2010 era emerso che Deutsche Bank Italia, che è un soggetto di diritto italiano e quindi vigilato da Via Nazionale, operava con i suoi Pos in Vaticano senza la necessaria autorizzazione.
Solo nel 2012 la banca, adeguandosi ai nuovi standard, ha presentato la necessaria istanza, che però è stata respinta il 6 dicembre scorso. Per quale ragione? La Santa Sede, ieri, ha minimizzato parlando di «problema tecnico» e scaricando di fatto la responsabilità sulla filiale italiana della banca tedesca. Il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha anche aggiunto che «i rapporti tra certi uffici della Città del Vaticano e uno dei loro fornitori di servizio per l’utilizzo delle carte di credito e di pagamento elettronico erano in via di scadenza».
Aggiungendo che sono in corso contatti con diversi fornitori di servizi e che l’interruzione del servizio sarà quindi «di breve durata, anche se fino a un termine ancora da definire». Una spiegazione che però non affronta il cuore del problema ed anzi lo evita in quanto il no di Bankitalia alla Deutsche Bank, secondo le carte ufficiali, dipende «dall’assenza dei presupposti giuridici, ossia la mancanza, presso lo Stato della Città del Vaticano, di una legislazione bancaria e finanziaria e di un sistema di vigilanza prudenziale, ulteriori rispetto a quelli in materia antiriciclaggio».
Insomma, non basterà alla Santa Sede cambiare la banca fornitrice per poter riattivare i servizi di pagamento elettronico con l’Italia. Occorre invece garantire azioni concrete in materia di lotta al riciclaggio. Perché è vero, come ha ricordato ancora ieri il portavoce del Vaticano, che sotto il mandato di Papa Benedetto XVI sono stati fatti «passi in avanti per rendere più trasparenti le finanze», come hanno riconosciuto l’estate scorsa anche gli esperti europei di Moneyval. Ma è anche vero che il Consiglio europeo, in quella sede, ha indicato diverse manchevolezze che devono essere risolte avvertendo che «ci sono alcune importanti questioni che devono essere affrontate per poter provare pienamente l’effettività del sistema». Un monito di fronte al quale, a quanto pare, il Vaticano sta reagendo con ritardo. La Santa Sede ha ancora sei mesi per fare quanto richiesto. E cioè, come sottolinea anche Bankitalia, per rafforzare la base legislativa della vigilanza. E per chiarire ruolo, responsabilità, poteri e indipendenza dell’Autorità di informazione finanziaria del Vaticano.

