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Il genocidio virtuale

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La persecuzione di Mladic e le menzogne sui serbi

Sono passati ormai quasi tre anni dalla pubblicazione di un volume curato da Ivana Kerečki intitolato Il dossier nascosto del ‘genocidio’ di Srebrenica (ed. La Città del Sole, Napoli, pagg. 175, € 12) in cui quello che è stato definito il maggior eccidio di massa che ha avuto luogo sul suolo d’Europa a partire dal 1945 viene analiticamente e storicamente indagato e revisionato e in cui viene smontata pezzo per pezzo la tesi della pulizia etnica programmata e pianificata messa in atto dai serbi in tale frangente. Tale studio riveste una duplice importanza: non solo per il ripristino della verità storica su un evento in cui hanno oggettivamente perso la vita numerose persone (civili, tra l’altro) ma anche perché i fatti di Srebrenica sono assurti, nel corso degli anni, a una sorta di catarsi collettiva per tutti i popoli balcanici, serbi a parte, che hanno avuto modo così di giustificare moralmente ogni sorta di nefandezza commessa, spesso ai danni dei serbi stessi. Non solo: l’eccidio di Srebrenica è servito, fuori dai Balcani, alla propaganda delle potenze occidentali in generale e degli Stati Uniti in particolare, per costituire un valido retroterra emotivo all’aggressione che di lì a poco avrebbero sferrato contro Belgrado. (…)
La terza parte del dossier prende in considerazione il rapporto redatto sui fatti di Srebrenica da una commissione speciale del governo della Republika Srpska, il Centro di documentazione della RS per l’investigazione sui crimini di guerra. I curatori dell’opera hanno tuttavia dovuto basarsi solo sulla traduzione inglese, dato che l’alto rappresentante delle Nazioni Unite in Bosnia ha vietato la diffusione della versione originale redatta in lingua serba. Tale dettagliato rapporto, arricchito con minuziosa documentazione, non solo fa chiarezza sulla situazione sul terreno in Bosnia-Erzegovina pre-1995, quindi precedentemente ai fatti di Srebrenica, ma smentisce categoricamente e contraddice le requisitorie del Tribunale penale internazionale dell’Aia. Il rapporto governativo, inoltre, pur ammettendo che sporadici episodi di giustizia privata e di vendetta sommaria possono aver avuto luogo ai danni della popolazione musulmana, evidenzia come fu proprio la presenza sul campo e la determinazione del generale Ratko Mladić a scongiurare il reiterarsi di tali circostanze. Indicativo il fatto che lo stesso alto rappresentante dell’ONU in Bosnia che ne ha vietato la diffusione del rapporto, Lord Paddy Ashdown, si è inoltre ‘premurato’ di farne redigere un secondo, da una nuova commissione alle sue dipendenze.Quarta e ultima sezione del Dossier nascosto del “genocidio” di Srebrenica, è dedicata a un filmato, contenuto in una video cassetta opportunamente ‘rinvenuta’ in occasione del decimo anniversario dei fatti di Srebrenica. Tale film è stato presentato da tutti i mezzi di comunicazione del mondo come la prova incontrovertibile dell’eccidio di ottomila persone inermi perpetrato dai serbi nella cittadina bosniaca. Dietro questa sorta di nuovo diario di Anna Frank c’è una tale Nataša Kandić, avvocatessa serba dirigente di una delle famigerate ONG etero dirette e prezzolate dall’estero che hanno operato e operano in Serbia per piegare il Paese alla sudditanza atlantica
 con la trita e consumata scusante dei “diritti umani”. Il filmato mostra l’esecuzione di 6 (sei) prigionieri non meglio identificati da parte di altrettanto non meglio identificati paramilitari serbi, i c.d. “Scorpioni”. Ma niente quadra, o meglio: l’unica cosa che quadra è che tale ‘prova’ è una micidiale buffonata. Non quadra l’identificazione delle vittime, né quelle dei carnefici; non quadra l’identificazione del luogo dell’esecuzione, non quadrano decine di altri dettagli per cui rimando alla circostanziata analisi del rapporto. Però è stato presentato così, tra le lacrime dei figuranti: la prova del massacro. Mica come le “mele marce” di Abu Ghraib”.
Secondo quanto riferì il presidente bosniaco Izetbegović fu lo stesso Clinton a ‘richiedergli’ almeno cinquemila morti per scatenare la rappresaglia contro i serbi. Lo sostiene anche Philip Corwin, l’alto funzionario ONU firmatario del nostro dossier: “esiste un potere di sbalordire molto maggiore nella morte di 7000 che in quella di 700”. Philip Corwin, mica Faurisson.Concludendo, la questione è sempre la medesima. Da una parte l’estraneità ai fatti e dall’altra il “non poteva non sapere”; da una parte le deportazioni che dall’altra diventano sterminio; da una parte prove documentate e circostanziate e dall’altra storielle strappalacrime. Non è questa la sede per stabilire se la storia si ripeta; ma la metodologia della nostra addomesticata ricerca storica si, come in un estenuante, ineludibile eterno ritorno.

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