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Il muro e le macerie

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Ovvero noi che abbiamo fallito per venticinque anni

Venticinque anni fa cadeva il Muro di Berlino, eretto, così sosteneva la propaganda comunista, a protezione dal fascismo. Per ventotto anni quel muro era stato il simbolo della divisione dell’Europa: tagliava in due quella che già nel 1944 il Cancelliere del Reich aveva progettato di ribattezzare appunto Europa per farne la capitale del nuovo Impero.
Per quarantaquattro anni quella divisione aveva simboleggiato la prigionia di tutte le nostre genti, asservite da due padroni, complici tra loro più di quanto fossero rivali. L’uno era più temibile dell’altro, quantomeno per l’incapacità di presentarsi. Tant’è che le fughe furono tutte verso ovest e il muro “antifascista” servì esclusivamente a mantenere prigioniera la popolazione di Berlino est. Centinaia e centinaia di vittime, falciate dalla polizia comunista, cercarono di varcare quel Muro. In una sola direzione.
Quando cadde si aprì la strada per la tanto agognata unificazione tedesca, che avvenne meno di un anno più tardi.

Poi
Poi la gente che si era scrollata di dosso quella logorante dittatura che imponeva il controllo di ogni cellula, di ogni nervo, di ogni gesto, per tramutare gli uomini in insetti e che aveva adattato a qualsiasi aspetto del vivere sociale gli schemi della prigione, rimase delusa anche del capitalismo.
Questo noi lo sapevamo già, ma purtroppo ci siam fermati là.
Quella caduta avvenne in una data simbolica, lo stesso 9 novembre del Putsch di Monaco, sessantasei anni più tardi. Si apriva la strada per l’Europa Nazione. I battistrada, Kohl e Mitterrand, si mossero benissimo poi però dovemmo fare i conti con i recuperi americani, con il trojan britannico e con l’assoluta mancanza di poteri politici europei.
Sicché alla delusione sociale del capitalismo si è andata a sommare la carenza d’imperialismo che ha fatto sì che il capitalismo europeo, alle prese con il capitalismo americano, con il capitalismo britannico, con il capitalismo cinese, con il capitalismo russo e poi perfino con il capitalismo brasiliano, facesse da vaso di coccio tra i vasi di metallo. Sicché agli inconvenienti del capitalismo si sono andati a sommare quelli della sudditanza a cui si risponde solo in un modo: potenza ed impero.

Avanguardie smarrite
Quel 9 novembre segnava la vittoria del sogno di tutti i nazionalrivoluzionari ma dopo, quelli che approdarono al neofascismo, molto probabilmente per caso o per disagio sociale, hanno svalutato tutto.
Anziché operare per la rivoluzione europea hanno fatto ricorso a tutte le forme frammentarie della reazione, facendo un emblema di quanto già era stato integrato nelle rivoluzioni nazionali ma solo dopo essere stato radicalmente corretto nel segno e nella prospettiva, liberato del veleno paralizzante di ogni reazione psicopatica.
Oggi che la crisi avanza sono in pochi a nutrire grandi ambizioni, i più si sono riempiti il cranio di dogmi semplicistici e di formule per una liberazione che si realizzerebbe marciando a gambero nella storia, inesorabilmente verso l’irrilevanza. 
Gli europei sono in pessime acque anche e soprattutto perché mancano le avanguardie che hanno fallito miseramente quando il fallimento nemico aveva offerto loro una grande opportunità.
Tanto e tale è stato il nulla reazionario che si è impadronito di coloro che avanguardie, evidentemente, non erano, che queste non sanno più perché dovrebbero battersi: ne ignorano sia la causa che il fine. Alcuni sono talmente spaesati da rimpiangere il Muro e la guerra fredda. 
Sarebbe molto comodo un bel muro, rassicurante, per coprire la propria nullità…
E sono tristi, rabbiosi, insoddisfatti, ringhiosi: tutto è perduto si dicono.

Invece
La situazione invece è ottima proprio perché pessima.
Mancano però gli uomini, quelli veri, quelli che combattono e guardano avanti, senza mai tradire chi li ha preceduti.
C’è troppa gente in quest’area ma troppo poche teste formate nella sua cultura originaria, invece ci sono commentatori e consumatori a bizzeffe, individualisti e democratici doc con le medesime qualità di ogni antifa. Ci sono troppi reazionari in ogni salsa, dalla neovandeana alla rossobruna e pochissimi rivoluzionari.
Speriamo che la crisi che avanza la spazzi via quest’area di poltroni e che vi ci lasci soltanto quelli che posseggono davvero un dna invece di un nickname.
Perché è tempo d’intervenire per rivoluzionare l’Europa e per rigenerare la stirpe.
O di sparire definitivamente, meglio se in decoroso silenzio.

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