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Il post-covid sarà nucleare?

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La qustione delle risorse energetiche la risolveremo così?

I cambiamenti climatici e le epidemie da millenni influenzano la Storia dell’umanità. Circa 75mila anni fa l’eruzione del monte Toba produsse una tale quantità di detriti da oscurare il sole per quasi mille anni, portando la temperatura media della Terra – già in glaciazione – attorno ai 5 gradi. Tra il 1.200 e il 1.000 a.C. l’emisfero boreale fu investito da un clima secco, prima caldo e poi freddo, che distrusse l’agricoltura e innescò rivolte che portarono al “collasso dell’età del bronzo”: tutti gli imperi e i regni del medio oriente – allora lussureggiante – caddero. Alla stessa maniera, sappiamo che in passato ci sono state epidemie devastanti, come quella Antonina del II secolo d.C. o la peste nera del ’300.

Epidemie e sconvolgimenti climatici da sempre avvengono di per sé, e né il Covid né il riscaldamento globale spazzeranno via da soli l’umanità. Il punto è un altro: che l’essere umano può favorirne l’insorgenza (ed è questo il caso oggi per entrambe le crisi odierne) e soprattutto che oggi rischia grosso non per l’agente patogeno o il cambiamento climatico in sé, ma per i conflitti che ne possono nascere. Il vero pericolo non è quindi che moriremo tutti di polmonite da COVID o per un colpo di calore estivo, ma che tali crisi possano innescare conflitti esponenziali interni ed esterni alle nazioni.

Se il COVID fosse avvenuto cento o duecento anni fa probabilmente non ce ne saremmo nemmeno accorti, perché era normale che le persone – soprattutto anziane – morissero anche per cause ignote, e per questo non venissero più di tanto curate. Quello che oggi ha fatto agire i governi subito e con determinazione non è quindi stata tanto la malattia, ma la paura delle rivolte sociali. Per la stessa ragione, finora i governi del mondo non sono intervenuti con la stessa tempestività e convinzione contro il riscaldamento climatico: il rischio di conflitti innescati da quest’ultimo per ora è stato basso.

Il vero fattore alla base sia dell’insorgenza delle due crisi che della loro difficile soluzione è uno: il numero di persone. Si stima che nel 1.500 ci fossero circa 500 milioni di persone al mondo, mentre nel 1950 gli abitanti della Terra erano circa 2,5 miliardi. Oggi siamo 7,8 miliardi, e saremo circa 10 nel 2050. Le persone hanno bisogno di energia e di beni per vivere, così come devono incontrarsi e stare insieme. Non possiamo impedirgli di farlo, e quindi agli agenti patogeni di diffondersi e alla produzione di gas serra di salire.

Qualcuno pensa che potremmo intervenire su questo fattore di base diminuendo la crescita economica o il numero di nuovi nati. Non sono però strade davvero praticabili: impedire alle persone di stare meglio o di avere figli non solo è discutibile moralmente, ma impossibile all’atto pratico. Soprattutto, creerebbe tali e tanti squilibri economici e sociali da innescare conflitti anche peggiori di quelli che stiamo cercando di prevenire. Consumi e fertilità diminuiscono “naturalmente” quando gli esseri umani raggiungono un livello di stabilità economica e soddisfazione sufficiente: sta già accadendo. Ma è un processo che non può essere davvero indotto: al massimo facilitato.

Un’altra possibile soluzione, forse la più citata, è quella di usare le nostre conoscenze tecnologiche per trovare succedanei alle interazioni umane o rendere più efficienti e quindi meno inquinanti i nostri consumi. Si tratta, per esempio, nel caso del COVID di diffondere lo smart-working e l’uso delle mascherine, e per il riscaldamento globale di promuovere i veicoli elettrici o le energie rinnovabili. Ma questi interventi, per quanto comunque utili e preziosi, non possono davvero essere soluzioni ma solo poco più che palliativi. E questo per due ragioni: una quantitativa e una qualitativa.

Da un punto di vista quantitativo, non possiamo sperare che una parte sufficiente di popolazione abbia sempre la mascherina – anche in casa – e lavori in smart-working: per tanti semplicemente non è possibile. Allo stesso modo, non si può pensare di sostenere i crescenti bisogni di energia globale con le sole rinnovabili o pensare che tutti possano a breve permettersi un veicolo elettrico. Non solo: ma l’aumento dell’efficienza spesso non blocca i consumi, ma li trasferisce. È successo per esempio con l’efficientamento dei motori degli aerei, che ha abbassato il prezzo dei biglietti e portato più gente a volare. Allo stesso modo, diffondere le rinnovabili potrebbe spingere le persone a consumare di più, e promuovere lo smart-working a usare il tempo libero per aumentare i consumi.

Un altro tipo di soluzione di cui invece si parla molto poco è quella non di risolvere il problema alla radice, ma annullarne gli effetti. Insomma, di trovare una cura. Se trovassimo una terapia efficace e sufficientemente rapida ed economica per il COVID, le persone potrebbero anche infettarsi (limitatamente). Allo stesso modo, se inventassimo una tecnologia che riesca a riprendere i gas serra dall’aria in maniera massiccia e sostenibile, potremmo continuare a produrli (ragionevolmente). Queste soluzioni non sono impossibili, ma per ora non sembrano ancora alla portata. E intanto la casa brucia.

C’è anche la possibilità di una soluzione drastica ma temporanea. Per il COVID è il lockdown, e per il riscaldamento globale sarebbe la geo-ingegneria. Con relativamente poco investimento e sforzo potremmo immettere nella stratosfera una quantità di particelle tale da riflettere la luce solare e abbassare le temperature terrestri. La quantità sufficiente per avere un impatto non sarebbe nemmeno così ingente, e d’altronde non si tratterebbe di qualcosa di così innaturale. L’esplosione del vulcano Pinatubo nel 1991, per esempio, immise nell’atmosfera una quantità di pulviscolo tale da abbassare la temperatura media globale per tre anni.

Si tratta però di una soluzione drastica, emergenziale, da ultima-risorsa, perché non sappiamo esattamente quali conseguenze potrebbe avere. Proprio come il lockdown, potrebbe far guadagnare tempo e rallentare l’intensificarsi della crisi, ma anche avere effetti collaterali rilevanti. Soprattutto, potrebbe essere una scusa per continuare a inquinare senza remore. Si tratta di un argomento quindi molto controverso: tanto che purtroppo certa ricerca a riguardo è stata fermata – non una buona idea: avere un piano B d’emergenza è sempre una buona cosa.

E allora il vaccino? Se abbiamo speranze ora di battere il COVID lo dobbiamo soprattutto al fatto che i governi hanno investito rapidamente moltissimi soldi nella loro ricerca e sviluppo. Sembrava impossibile anche a molti scienziati, ma la tecnologia esisteva già, e con tanto lavoro e un po’ di fortuna in tempi rapidissimi sono stati sviluppati  dei vaccini che sembrano resistere anche alle varianti emerse finora, “tagliando le gambe” al virus e colpendo il problema alla base. Esiste una prospettiva simile per risolvere la crisi del riscaldamento climatico? Sì, e si chiama fusione nucleare.

La fusione nucleare permetterebbe di produrre energia praticamente infinita, senza scorie, senza possibilità di esplosioni e partendo dall’acqua di mare. Non siamo ancora sicuri che sia possibile, ma esperimenti anche importanti – come ITER in Francia – sono in corso, e nel tempo stanno uscendo studi e prototipi sempre più promettenti. Investendo massicciamente in questa tecnologia potremmo avere – con tanto lavoro e un po’ di fortuna – una fonte di energia praticamente infinita per lo sviluppo umano. Vale la pena provarci: i fondi si possono trovare. L’unico vero ostacolo è la volontà politica: avere il consenso per investire in infrastrutture, semplificare le normative, aumentare gli studi.

Naturalmente, nel frattempo molto va comunque fatto, perché la fusione non arriverà comunque prima di vent’anni, e poi ci sarà da diffonderla su scala mondiale. Mangiare meno carne, consumare meno, spostarsi a piedi o in bicicletta o con i mezzi pubblici, fare la differenziata… E magari anche riattivare un po’ di centrali nucleari per aiutare nella transizione, ché non sono più quelle di Chernobyl. E anche se succedesse un disastro come a Fukushima, abbiamo visto che non è stata un’apocalisse: in Giappone e Ucraina si vive ancora. D’altronde, meglio qualche barile di rifiuto nucleare nel sottosuolo che tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera.

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