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Il prossimo governo alle prese con il debito pubblico

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Economia a rischio

C’è una grande attenzione sul debito pubblico italiano, dato il suo alto livello. Gli investitori esteri mi fanno continue domande su quali possano essere gli scenari macroeconomici dei prossimi mesi: se il debito è su una traiettoria decrescente, se si è stabilizzato o se rischia di aumentare. In questo periodo l’attenzione è più positiva del passato, è vero, ma l’esito delle elezioni potrebbe cambiare lo scenario», spiega Silvia Ardagna, economista di Goldman Sachs – una delle più grandi banche d’affari del mondo – e responsabile per i Paesi del Sud Europa.
Il debito pubblico è al 131,5% del Pil e un terzo è in mano ad investitori stranieri. È un rischio? 
«L’economia in Italia si sta riattivando, con una crescita del Pil per il 2017 dell’1,5%, che è più alta rispetto agli anni passati. I rischi legati al debito sono dunque visti con meno nervosismo. Però è vero che una grossa quota di debito – nonostante sia scesa dal 50% pre-crisi ad un terzo – è in mano a investitori non residenti, che sono più volatili. L’esito del voto avrà una sua incidenza».
Cioè? 
«Ci sarà probabilmente un Parlamento diviso in tre blocchi, senza una maggioranza assoluta. Se questo “hung parliament” (Parlamento appeso, ndr) porterà a una coalizione di governo trasversale, allora non dovrebbero esserci conseguenze sul debito. Qualunque governo anti-europeo, che metterà in discussione la partecipazione alla moneta unica o che si confronterà duramente con Bruxelles piuttosto che collaborare, è invece visto in modo negativo».
Il nostro Paese è pronto alla fine del «quantitative easing» della Bce? 
«Pensiamo che la politica monetaria in Europa rimarrà accomodante ancora per un periodo notevole. Verranno ridotti gli acquisti dei titoli di Stato, il Qe appunto, ma la Banca centrale europea reinvestirà i Bond in scadenza. Inoltre riteniamo che Francoforte terrà i tassi fermi ai livelli attuali per tutta la prima metà del 2019. Il rialzo successivo sarà graduale. Non ci aspettiamo effetti così significativi».
A livello globale però i tassi salgono. Questo avrà conseguenze per l’Italia? 
«Per i grandi investitori internazionali il rialzo dei tassi americani decisi dalla Fed rende i Btp meno attraenti: quelli decennali hanno rendimenti inferiori ai bond americani a due anni. Ci aspettiamo però in Europa una politica monetaria attenta e accomodante, appunto, senza scossoni o deprezzamenti forti».
Il nostro debito pubblico è sostenibile? 
«Con un surplus primario (la differenza tra entrate e spese al lordo degli interessi sul debito, ndr) al +1,5% del Pil e una crescita nominale, che include l’effetto prezzi, del 2 o 2,5%, solo uno shock molto forte sui tassi di interesse potrebbe riportare il debito a crescere. Bisogna evitare che si entri in un circolo vizioso per cui aumenta il costo del debito, la crescita rallenta e la finanza pubblica si deteriora. Questa combinazione non porta a nulla di buono».
Tutto insomma dipenderà dalle politiche del prossimo governo? 
«È necessario che la crescita continui a migliorare e che ci sia una politica fiscale prudente. Bisogna continuare la strada intrapresa, altrimenti le cose possono mutare in fretta. Parlo con investitori internazionali da anni: prima della crisi del 2011 vedevano l’Italia come un Paese virtuoso rispetto agli altri del Sud Europa, focalizzando l’attenzione sul fatto che l’Italia avesse un surplus primario e banche con bilanci solidi. Poi con la crisi greca e le incertezze politiche il focus è stato messo sull’alto debito. Oggi siamo nella stessa situazione: guardano alla crescita, non alle vulnerabilità. Basta poco però a far cambiare rotta agli investitori».

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