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Il ricordo d un giorno

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Poi ci sentiamo più fascisti e più italiani

Il 10 febbraio è dedicato agli italiani infoibati dai comunisti titini.
Per qualcuno  più attento il pensiero va a tutti i giuliano-dalmati costretti ad un difficile esodo in un’Italia che non li ha mai davvero accolti, perché la gente è meschina e apre molto poco volentieri ai profughi, a tutti i profughi.

Orgogliosi di che?
Per certuni l’aver fissato questa ricorrenza è motivo d’orgoglio.
Ciò non ha senso perché è il minimo del dovere al quale avrebbero dovuto adempiere, ma oggi, si sa, rispettare anche un solo impegno  sembra qualcosa di straordinario per il quale è lecito essere lodati e fare la ruota.
Venticinque anni fa cadeva il Muro di Berlino, in due o tre anni implodeva l’intero arcipelago comunista sovietico. Vent’anni fa i neofascisti, diventati improvvisamente postfascisti prima di riscoprire l’antifascismo cattolico e librale di destra e diventare mendicanti e spergiuri, andavano infine al governo in Italia.
Avevano tanti programmi e tanti riferimenti.
Tutti rispettati? No. Quasi nessuno.
Hanno istituito il Giorno del Ricordo e si sono detti ispiratori dell’esercito professionistico. Tutto qua.
Cosa ci sia da vantarsi di quest’innovazione, poi, lo sanno solo loro.
In una visione del mondo per la quale si dovrebbe non professionalizzare l’esercito ma rendere piuttosto militare e solidale persino l’idea del lavoro, questa smilitarizzazione inversa appare piuttosto insensata.
Specie in un Paese di bamboccioni mammoni qual è il nostro, oramai precipitato al  più basso gradino della scala mondiale, la leva obbligatoria aveva  un valore inestimabile.
Si sarebbe dovuto pretendere un migliore e più efficace servizio militare, con il puntuale richiamo per una settimana l’anno di tutti i congedati, sul modello svizzero. Si è preferito liquidare l’Esercito  sul format dei contractors al servizio dell’Onu e dei privati. 
E se ne vantano.
Si vantano poi, fiore all’occhiello, di questo Giorno del Ricordo, una specie di Giorno della Memoria dei poveri, una ricorrenza di serie B, anzi di serie C.
E oggi che un certo revival antifascista ripropone negazionismi locali, questa “conquista” la contrabbandano come qualcosa di straordinario. Ma non lo è.

Meglio di niente?
Meglio di niente si dirà.
Sarà! Ma converrete che fa specie che oggi il Presidente della Repubblica conceda medaglie al Valore in Ricordo degli infoibati, proprio lui che all’epoca era alleato dei boia e non certo dei martiri.
Il fatto è che in Italia si può tutto, come hanno insegnato i D’Alema e gli Alemanno; si salta di quaglia in quaglia come se nulla fosse. E’ l’Italia signori! 
Non certo quella per cui gli infoibati sono morti: se ne vergognerebbero.
Sapete dunque dirmi chi li ha uccisi di più? I boia del 1945 o noi adesso?
Fanno specie ancora l’ipocrisia delle istituzioni e l’ assoluto menefreghismo che rende surreale questa cerimonia museale. Nauseabonda.
Meglio di niente direte, perché così qualcuno comunque ricorderà.
Magari lo avrebbe fatto anche senza questa ricorrenza che sembra un po’ il giorno dello scudiero del Medio Evo, o il giorno dell’handicappato, il giorno dell’aids, il giorno della lebbra, e così via, in una pratica ormai consolidata di lavacro veterotestamentario: Un po’ la tecnica del capro espiatorio applicata al ricordo e al sentimento. Un momento per tutto e l’oblio per il resto della vita. Così, tanto per non impegnarsi davvero.
Forse forse, era meglio niente.

Impariamo a vergognarci!
Per ben vent’anni coloro che avrebbero dovuto essere depositari di quel sacrificio,  hanno dimostrato  di non avere spina dorsale, di non sentire legame essenziale con nulla del passato, specie se si doveva correre qualche rischio per difenderlo. Se la sono cavata evadendo una pratica, un minimo di formalità, per cui di tutti i “maledetti” che sono stati trucidati dai vincitori si ricordano solo quelli che non disturbano quasi nessuno. E gli altri: più a fondo nelle foibe delle abiure!
Per quanto riguarda l’omaggio ai pochi maledetti recuperati, lo si rivolge una volta all’anno, così come una volta all’anno è venerdì santo o martedì grasso.
Bene, accettiamo il fatto compiuto e ricordiamoli comunque i nostri martiri, ma con uno spirito un po’ diverso.
Accettiamo il fatto compiuto, ma facciamo tutti bene attenzione a rimandare al mittente qualsiasi ammiccamento complimentoso e qualsiasi autocelebrazione.
Non c’è alcun motivo per applaudire l’istituzione distratta e fuggevole di un Giorno del Ricordo con il quale si contrabbandano venti anni di cedimenti, di rinnegamenti, di salti della quaglia, di gabbane voltate e rivoltate, di assenza di strategia, di confusione del concetto di comitiva con quello di comunità, dei valori con la retorica, della patria con la coccarda e di adeguamento sempre e comunque con il peggio dei poteri forti e della cultura dominante.
Non sarà il Giorno del Ricordo che potrà far dimenticare a nessuno le capriole, i tradimenti, le diserzioni dei post-fascisti/neo-alter-antifascisti che dal 1994 hanno vissuto come parassiti di gente più grande per poi non perdere occasione di abbandonare ad ogni difficoltà il proprio campo, rigorosamente in ordine sparso (quando non c’è il centro…) ma senza mancare mai di scegliere frettolosamente, sempre e comunque, lo schieramento più spregevole e più sbagliato tra quelli disponibili.
L’aver istituito una deposizione di fiori non fa alcun contrappeso nel disastro ventennale di un mondo totalmente privo di attributi maschili e di dignità.
Né questo Ricordo riconcilia in alcun modo gli italiani; peggio: non li caratterizza neppure.
L’Italia è sprofondata, tutta, nell’abisso delle foibe.
E i più colpevoli siamo proprio noi.
Per noi va bene solo l’Oblio. 
Cerchiamo di non offendere il Ricordo dei nostri martiri: contegno, nessun esibizionismo e presenza a noi stessi! 
Almeno non pregiudichiamoli.

 

 

 

 

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