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Il sole torna a sorgere ad est?

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Sco: dove dovrebbe guardare l’Europa

 

Afghanistan prossima fermata. Si è chiusa a Pechino la dodicesima edizione degli incontri tra Capi di Stato tra i membri della Shanghai cooperation organization (Sco). Due giorni di consultazioni che hanno portato alla definizione di grandi scenari di geopolitica che possono far intimidire i summit occidentali. I sei membri a pieno titolo della Sco, affiancati da candidati partner e osservatori, hanno dimostrato una global vision alla quale Usa e Ue difficilmente sarebbero in grado di fornire un’antitesi. Primo e importante punto in esame è stato il destino dell’Afghanistan. Nell’ottica della smobilitazione della Nato nel 2014, lo Sco ambisce a versarvi capitali e risorse. Sia umane che tecnologiche. Cina e Russia appaiono in prima fila. La prima sfruttando il corridoio del Vacan, noto anche come il dito del Pamir: una striscia di terra stretta appena 16 chilometri, che si incunea tra il Pakistan a sud e il Tajikistan e che permette ad Afghanistan e Cina di condividere una frontiera. Pechino ha già detto di avere pronti 10 miliardi di dollari da versare nei fondi Sco, vincolandoli però a beneficio di Kabul.

L’operazione, che si congiunge con gli investimenti cinesi in Pakistan e in Iran, permetterebbe ai cinesi di disporre di un’area di influenza sufficiente per poter contenere la crescita indiana, ma anche la presenza degli Usa in zona. La Russia non si è esposta tanto. Ma l’obiettivo di Putin in Afghanistan è multitasking. Tramite la Sco mira a definire una nuova politica centro-asiatica, area per molti aspetti lasciata a se stessa da parte del Cremlino negli ultimi anni. Salvo le questioni energetiche, infatti, la Mosca post sovietica paga ancora lo scotto dell’indipendenza concessa ai suoi antichi khanati. Oggi medita di tornare suoi propri passi. La Sco appare a Putin la strada più idonea. È questo il consesso dove si riuniscono le potenze davvero emergenti dell’economia asiatica. Kazakistan e altri “stan”inclusi.

Lascia perplessi, d’altro canto, che i russi insistano a tornare in una terra che ancora oggi viene ricordata come il cimitero dell’Armata rossa. In Afghanistan si possono tuttora visitare aree dove sono raccolte le vestigia ossidate della disgregata Urss. Rottami di un esercito che fu, ormai abbandonati da tutti: dai soldati Isaf, come dai talebani. Quanto conviene a Mosca tornare in Afghanistan? Certo, il metodo non sarebbe militare bensì economico e della cooperazione, come suggeriscono le dichiarazioni conclusive del summit di Pechino. Una fra tutte, la critica lanciata dal presidente afgano Karzai contro i raid della Nato che hanno provocato vittime tra la popolazione civile. Presso le cancellerie di tutta l’Asia questi errori sono tollerati sempre meno. La Sco soprattutto è convinta di poter fare meglio degli occidentali. Perché agli occhi della popolazione afgana si presenterebbe come un partner locale, quindi molto meno straniero rispetto alle truppe dell’Alleanza atlantica. Ma soprattutto perché entrerebbe non con armi alla mano. È sua intenzione infatti intervenire sullo sviluppo del Paese, lasciando che la sicurezza resti nelle mani di Kabul. Così hanno detto a Pechino.

Buoni propositi la Sco li ha dimostrati anche per quanto riguarda l’Iran. Il Paese gode dello status di osservatore dell’organizzazione. Il che rappresenta per gli Ayatollah l’unica finestra veramente aperta sul mondo. Finestra che peraltro si rivela di non secondaria importanza. Ed è stato proprio a margine del summit di Pechino che ieri Putin ha incontrato Ahmadinejad. Il primo ha ribadito l’intenzione russa di sostenere il nucleare iraniano, ammesso che abbia finalità pacifiche e quindi nell’ambito della produzione energetica. Per Teheran questo potrebbe trattarsi di una vittoria mutilata. Il suo obiettivo sarebbe rivaleggiare a pieno titolo contro India e Pakistan, entrambe superpotenze nucleari ed evitare quindi di sottostare alle angherie di un po’di tutto il mondo. Ma è probabile che oggi il nucleare iraniano possa avere una formula risolutiva non presso la Sco, oppure all’Onu, bensì a Damasco. Soluzione comunque tutta da definire, visti quel che succede sulle sponde del Mediterraneo. Per entrambi i dossier e non solo, Mosca e Pechino hanno posizioni molto simili. «Gli interessi di base dei nostri Paesi corrispondono sia nella sfera della politica estera che in quelle economico-commerciale, tecnologica, culturale», ha detto Putin rivolgendosi a Hu Jintao l’altro giorno, prima che si aprisse la Sco. «Noi abbiamo l’intenzione di rafforzare la nostra cooperazione nel quadro delle grandi organizzazioni internazionali: Onu, G20 Brics e Sco».

La conferma si è avuta prima nella gestione del conflitto in Siria, ora nelle grandi strategie asiatiche. C’è tanto opportunismo in queste ambizioni. Ma è un comportamento che funziona. È però l’India la prima a opporsi a questa Santa alleanza. Anch’essa osservatore nella Sco, alla stregua di Afghanistan, Iran e Pakistan. Ma dalle spalle certamente più solide. Non per niente molte delle manovre economiche e geopolitiche cinesi sono in funzione anti Delhi. E non è da escludere che il governo Singh possa sfruttare il sostegno occidentale per rafforzarsi ulteriormente a suo titolo personale. Vedi il suo prossimo ingresso in Afghanistan. Questo vorrebbe dire guadagnare punti in ambito regionale – sempre contro la Cina – come pure in sede Onu, quindi nella prospettiva di accaparrasi l’agognato seggio permanente al Consiglio di sicurezza. Sorprende però il buon rapporto che l’India vanta con la Russia. Buono e di lunga durata. In questo caso, spetterà a Mosca fare una scelta prima o poi: se parlare con i cinesi oppure con gli indiani.

Il vertice Sco a questo punto suggerisce molti elementi di riflessione. Mette in luce come laggiù, agli stremi dell’Asia, il peso dell’Occidente sia seriamente ridimensionato. Le economie galoppanti non si preoccupano dei nostri intoppi. Anzi, i fallimenti e le difficoltà vissuti tra Washington e Bruxelles vengono sfruttati sapientemente come occasioni di crescita. Gli errori strategico-militari sono metabolizzati con l’obiettivo di non ripeterli. A Pechino si è parlato di cooperazione in favore di Kabul. Sembra quasi che la Nato non se ne sia mai fatta carico. Sembra quasi che noi ci siamo occupati soltanto di combattere un nemico che poi ci ha sconfitto. Lo snobismo di questo vertice verso il capitalismo occidentale fa quasi pensare ai vertici dei G6 e G7. Tra gli anni Settanta e Ottanta, era chi si affacciava su Atlantico e Mediterraneo a decidere la rotta del mondo. I tempi cambiano. E con essi gli equilibri del mondo. 
 

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