Home Conflitti Il silenzio non lavora per la libertà dei tre italiani….

Il silenzio non lavora per la libertà dei tre italiani….

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Passano i giorni e i tre ostaggi italiani restano nelle mani della resistenza irachena.

Ieri Silvio Berlusconi ha chiesto il “silenzio stampa” ai telegiornali: il governo è impacciato, le opposizioni fanno solo confusione: nessuno sa cosa veramente fare e le iniziative variamente lanciate sono già state un fallimento oppure non hanno solide basi di riuscita. Inizialmente il governo italiano, palesando una clamorosa ignoranza della realtà dell’Iraq, ha ipotizzato una trattativa “mercantilistica”, evidentemente credendo di avere a che fare con dei rubagalline anziché con una formazione in guerra per la libertà della propria patria e ben conscia della situazione politica in Italia.
Qualche cassa di materiale “umanitario” non poteva certo bastare per riportare in Italia tre persone con differenti responsabilità individuali, ma comunque tutte fortemente compromesse con gli invasori. Era evidente che sarebbe servita una contropartita “politica”.
La manifestazione pacifista promossa dai familiari degli ostaggi è stata poi un capolavoro di ipocrisia.
Doveva essere una chiara condanna della politica filo atlantica del governo, è invece diventata un fritto misto umanitario al quale hanno partecipato sia un’opposizione timida sia addirittura membri stessi del governo Berlusconi. Non possiamo certo chiedere a Berlusconi e Fini di manifestare contro se stessi, ma le dichiarazioni dei vari Prodi, Rutelli e Fassino sono state intrise del medesimo atlantismo dell’attuale maggioranza.
Anche la ventilata ipotesi di un viaggio in Iraq di membri dell’area pacifista (tra g1i indicati, addirittura chi si rifiutò di ricevere a Roma Tariq Aziz) è ugualmente insensata e inutile. La resistenza irachena non vuole, giustamente, trattare con i collaborazionisti dell’aggressore, ma ugualmente difficilmente tratterà con chi ha fatto il pacifista con i se e con i ma. Oppure con chi ha cercato stoltamente di distinguere la “resistenza buona” (quella inesistente) dalla “resistenza cattiva”, ovvero quella ba’athista che guida da sempre la guerra di liberazione nazionale.
Per sperare di ottenere qualcosa bisogna chiedere di andare in Iraq a chi da sempre è stato dalla parte degli iracheni e del legittimo governo del partito Ba’ath.
Solo costoro potrebbero spiegare; da fratello a fratello, l’enorme ritorno di immagine che una scelta generosa e coraggiosa della resistenza irachena potrebbe avere verso l’opinione pubblica italiana.
Gente che non è, come certi pacifinti, in campagna e1ettora1e; gente che non è compromessa con il Palazzo, che non dispone di treni speciali per le sue manifestazioni: gente che è già scesa in piazza, nel silenzio generale dei media, per manifestare solidarietà incondizionata alla guerra di liberazione nazionale irachena.
Noi socialisti nazionali siamo questa gente e noi siamo disponibili a partire anche domani per l’Iraq, senza scorte militari, difesi solo dalla comune visione che ci unisce ai patrioti iracheni. E sufficiente un volo per Baghdad, nessun condizionamento da parte del governo italiano e sette giorni di tempo.
Non garantiamo certo un successo, ma se qualcuno può fare qualcosa, quel qualcuno siamo noi.

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