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Karadzic alla sbarra nella tragicommedia dell’Aja

Radovan Karadzic compare infine in aula nel tribunale dell’Aja, venti mesi dopo l’arresto e dopo aver esaurito tutti gli espedienti per ritardare ancora, e ridicolizzare, il processo in cui deve rispondere di genocidio e crimini contro l’umanità commessi durante la guerra in Bosnia. 
Fin dalle prime battute, si cala nel ruolo abbandonato nel 1996, quando s’era dileguato inseguito dai mandati d’arresto internazionali: quello del capopopolo, del leader dei serbi-bosniaci. “Sto qui non per difendere la persona mortale che io sono, ma per difendere la grandezza di una piccola nazione della Bosnia Erzegovina”.
Capelli bianchi e lunghi, Karadzic sceglie una cravatta rosso-blu, i colori della bandiera nazionale. Parla in serbo, spesso in terza persona. A un tavolo vicino, siede il legale inglese Richard Harvey, l’avvocato difensore che la corte gli ha nominato d’ufficio, dovesse decidere un’altra volta di non volersi presentare in aula. 
L’autodifesa di Karadzic fa tutt’uno con la versione serbo-bosniaca di quella guerra, diventa già dalle prime parole un manifesto storico e politico a un tempo, dove Karadzic — più che discolparsi e scusarsi — sembra voler rivendicare per sé un ruolo storico. “Io difendo la nostra nazione e la nostra causa, che è giusta e sacra: e in questo modo difenderò anche me stesso, e il mio nome”. Quella guerra, è la tesi di Karadzic, fu colpa dei bosniaci, non dei serbi: “I musulmani avevano fatto questa scelta: una Bosnia sovrana e indipendente che non poteva che portare alla guerra”.
E si riferisce al referendum, indetto nel 1991, quando la Jugoslavia — dalla Slovenia alla Macedonia — crollò come un domino sotto i colpi delle consultazioni popolari. Al referendum bosniaco (sostenuto da croati e musulmani) i serbi prima s’opposero, poi sostenuti da Belgrado imbracciarono i fucili. Ma se allora Karadzic arringava i contadini serbi contro i musulmani “che ci vogliono rubare la terra”, oggi in tribunale la tesi è più aggiornata agli spauracchi dei tempi correnti. Io “volevo prevenire — sostiene adesso Karadzic — uno Stato islamico nel cuore dell’Europa”. I serbi come baluardo all’islamizzazione avanzante, l’ultimo argine a difesa dell’Occidente: abbozzò questa difesa già Milosevic dopo l’11 settembre. 
Non c’è mai stato sostiene,  “l’idea, né tanto meno un piano per espellere i croati e i musulmani. Niente pulizia etnica. Nessun piano per il massacro di 8mila uomini musulmani a Srebrenica. Niente stupri, né campi di concentramento, erano  solo centri di raccolta di rifugiati”.
La difesa di Karadzic ha scarse possibilità di riuscita. Perché l’avanzata bosniaca e quella kosovara, insieme  ai genocidi ai danni dei serbi, sono opera di un’operazione antieuropea orchestrata in concerto da Usa e Israele e di una macro operazione di narcotraffico combinato con gli ambienti albanesi prossimi alla Cia. Dunque la verità non potrà essere ammessa.

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