venerdì 19 Luglio 2024

Intervista a Emilio Bianchi

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REGIA MARINA ITALIANA:
Intervista a Emilio Bianchi

di Andrea Piccinotti

Entrando in casa di Emilio Bianchi mi sono emozionato (io ventenne a parlare con un signore di 87 anni molto più lucido e sveglio di me) nel pensare che quest’uomo è stato uno dei più grandi eroi della nostra storia; di lui mi ha colpito subito la sua modestia, più volte durante il racconto si schermiva e parlava di immersioni e di attacchi come se fossero cose alla portata di tutti, e il suo attaccamento all’Italia e alla Marina.

Sig. Bianchi in cosa consisteva il vostro addestramento?

L’addestramento era abbastanza duro diciamo molto duro, basti pensare che anche in pieno inverno scendevamo in acqua verso le 9 di sera passando tutta la notte ad effettuare vari esercizi e immersioni sui nostri maiali. Si trattava di qualche cosa di veramente impegnativo e di estenuante, che solo il nostro entusiasmo e lo spirito di corpo, ci faceva superare.

Le prime esercitazioni le facevamo a Bocca di Serchio (sede degli operatori dei mezzi di assalto – ndr), per prendere o mantenere la padronanza del mezzo e per sperimentare nuove tattiche di attacco; dopo l’entrata in guerra e quando si avvicinava la data per un’operazione dovevamo attaccare la base navale di La Spezia all’insaputa di tutti per motivi di segretezza, non potevamo avvertire le guardie delle nostre esercitazioni perché ben presto il segreto totale in cui noi operavamo sarebbe caduto, con il rischio di beccarci una pallottola sparata dagli italiani. (parla di questo sorridendo, come se fosse una cosa da niente…. – ndr).

Partivamo dall’isola del Tino, dovevamo superare un doppio sbarramento a Punta Santa Maria (l’entrata della diga foranea del porto militare – ndr ) e superarne altri due nei pressi della nave che dovevamo attaccare; la cosa più difficile era il fatto che operando di notte ad una profondità di circa 15 metri eravamo come ciechi e quindi dovevamo sapere esattamente cosa fare e essere molto affiatati con il proprio compagno. 

Per superare gli sbarramenti avevamo degli attrezzi che ci permettevano di aprire un varco nella rete con poca fatica (infatti la miscela di ossigeno e elio che respiravano nelle immersioni non permetteva di fare grandi sforzi – ndr ): cioè dei martinetti idraulici o delle cesoie pneumatiche. Una volta fissata la carica alla nave “nemica” l’esercitazione non era finita perché, sempre per motivi di segretezza, dovevamo ritornare indietro e simulare la nostra fuga dalla base.


Quindi durante le esercitazioni correvate gli stessi rischi che avete corso ad Alessandria ?

Direi che di rischi ne correvamo addirittura maggiori nelle esercitazioni, perché durante i nostri esercizi simulavamo tutta una serie di situazioni e inconvenienti che poi ad Alessandria non capitarono; noi ad Alessandria, grazie ai servizi segreti e ai ricognitori, sapevamo perfettamente dove erano le navi da battaglia inglesi e come agire, dovevamo soltanto ripetere quello che facevamo nelle esercitazioni. 


Qual è stato il pericolo maggiore che ha corso?

Il rischio maggiore l’ho corso durante la seconda missione di Gibilterra (operazione B.G. 2 il 29 ottobre 1940 – ndr), dopo aver avuto dei contrattempi siamo riusciti ad avvicinarsi al porto militare, anche se vi erano alcune motovedette inglesi che lanciavano alcune bombe di profondità in vari punti del porto senza tuttavia darci un gran fastidio, all’improvviso è avvenuta un’esplosione internamente (dovuta ad miscela esplosiva di gas che si era formata nel compartimento batterie) al nostro maiale e sotto il mio sedere (raccontando questo particolare il sig Bianchi scoppia in sonora risata – ndr), che ha bloccato il motore e le eliche provocando l’affondamento del mezzo. Vi devo ricordare che i nostri respiratori e il nostro ossigeno ci permettevano di lavorare in sicurezza fino a 15 metri, mentre sotto i 30 era vietassimo scendere; il maiale continuava ad affondare e io controllando il manometro di profondità vidi che la lancietta era bloccata sotto i 30 metri, ad un certo punto il maiale toccò il fondo e si fermò (Durand de la Penne accortosi dell’impossibilità di governare il maiale l’aveva subito abbandonato – ndr). Se la profondità in quel punto fosse stata maggiore io ci avrei sicuramente rimesso la pelle; dopo essermi accorto che Durand non era più al suo posto ho tentato più volte di riportare il mezzo in funzione azionando il dispositivo di risalita rapida ma invano e sentendo sopraggiungere i primi sintomi di perdita di conoscenza ho abbandonato il mezzo e sono ritornato a galla dove ho ritrovato il mio comandante De la Penne. In quel momento stava sopraggiungendo una motovedetta inglese, ma per fortuna siamo riusciti a passare inosservati, e a raggiungere a nuoto (2 ore e mezza di nuoto di notte in acque fredde e infestate da navi nemiche vengono raccontate da Bianchi come la cosa più facile di questo mondo – ndr) la costa spagnola dove dei nostri agenti ci riportarono poi in Italia. Eh sì, quella volta me la sono vista proprio brutta….

Come vi riparavate dal freddo durante le immersioni ?

Avevamo degli indumenti di lana molto pesanti, una specie di mutandoni che dai piedi arrivavano fino alla vita e dei maglioni, e poi sopra avevamo la tuta impermeabile …… oddio impermeabile teoricamente visto che molte volte l’acqua entrava perché la tuta era molto fragile e bastava toccare qualcosa di appuntito che si bucava; era fatta di tela gommata e aveva lo spiacevole inconveniente che andando a profondità notevoli, diciamo sotto i dieci metri, si prendevano delle frustate tremende perché la pressione dell’acqua raccoglieva il tessuto da formare delle grinze sulla muta e di conseguenza anche sulla pelle: quando uscivamo dall’acqua dopo le esercitazioni sembrava che fossimo stati frustati. Sulla nuca avevamo una cuffia foderata di lana, però l’acqua entrava e i crampi terribili alla testa, poi però l’acqua che entrava nella cuffia si scaldava e i dolori sparivano.

Lei è stato preso prigioniero subito dopo l’attacco (Alessandria), come si comportarono gli inglesi ?

I marinai inglesi che ci videro per primi ci schernirono pensando

che avevamo fallito, ma appena gli alti ufficiali capirono la situazione ci fecero spogliare e fummo portati a terra dove vi erano due ufficiali che parlavano l’italiano (meglio di noi) e fummo interrogati uno alla volta; gli ufficiali inglesi ci minacciarono più volte di farci fucilare perché secondo loro non eravamo militari e ci facevano notare una pistola che si trovava sul tavolo, ma noi sapevamo che questo era solo un modo per spaventarci e per farci parlare e non aprimmo bocca. A questo punto fummo riportati a bordo della Valiant e chiusi in una cala della nave sotto la linea di galleggimento nella speranza che noi rivelassimo dove si trovava la bomba; sapevamo che di li poco la carica sarebbe scoppiata e aspettavamo in ansia l’esplosione che fu veramente un gran colpo che scosse tutta la nave e la lasciò al buio, poco dopo vennero a prenderci e ci fecero sbarcare e io notai con mia grande felicità che la nave stava iniziando a sbandare. Vorrei farle notare che le due navi da battaglia non furono affondate, ma solo messe fuori combattimento per via del basso fondale che c’è nei porti (dice queste parole quasi volesse sminuire la loro impresa! – ndr). Dopo l’attacco siamo stati portati in Palestina per 8 mesi in una zona chiamata Latrum, poi quando ci fu l’avanzata di El-Alamein nel timore che i tedeschi arrivassero nel canale di Suez i tre ufficiali furono mandati in India, mentre noi fummo portati in Sud Africa nel Transvaall. (Voglio mettere in evidenza come Bianchi tentò due volte di fuggire per tornare in Italia, questi tentativi li ho scoperti leggendo il suo libro mentre lui per la sua incredibile modestia non ne ha fatto parola durante il nostro colloquio – ndr). I tre ufficiali e Marino sono tornati in Italia subito dopo l’Armistizio, io invece ho preso il pretesto di alcuni problemi di salute per rimanere nel campo fino alla fine della guerra, non volevo tornare in Italia perché non si sapeva più che pesci prendere, se si doveva combattere contro l’uno o contro l’altro.


Se lei fosse stato in Italia, all’armistizio, cosa avrebbe fatto? 

Mah! Penso che conoscendo Borghese e tutta quella gente lì sarei finito con lo scegliere la Repubblica di Salò, anche perché non si può cominciare una guerra e ad un certo momento dire che il mio nemico non è più quello ma il mio vecchio alleato, è una questione di etica e di coerenza; se fossi rientrato non sarei stato capace di vedere gli inglesi come miei amici e i tedeschi come i nuovi nemici. Le cito una frase di Tesei “non importa se una guerra si vince o si perde, l’importante è combatterla bene” e gli alti comandi hanno fatto di tutto per combatterla nel peggior modo possibile; per esempio anche dopo la nostra azione ad Alessandria la Marina non sfruttò la supremazia schiacciante che aveva conseguito evidentemente non avevamo buoni Strateghi!

Ritengo la mancata occupazione di Malta il più grande errore della nostra guerra, lei cosa ne pensa?

Guardi, le dico questo: il 10 giugno del 1940 appena finito di ascoltare l’annuncio della guerra alla radio Tesei disse: “Ora la Marina Italiana deve subito eliminare Malta, costi quel che costi”; ora dico io è mai possibile che un’ufficiale del Genio Navale avesse capito subito l’importanza di Malta, mentre i grandi ammiragli non se ne preoccuparono! Effettivamente Malta ci costò tantissimo, basti pensare a tutte le navi mercantili che affondarono in rotta per la Libia, carichi di materiali, mentre i nostri poveri soldati in Africa non avevano nemmeno le munizioni. Ad un certo punto l’isola era proprio estenuata e si sarebbe potuto anche prenderla con pochi rischi, ma non siamo mai arrivati a tanto …… eh allora cosa si poteva fare, non era mica compito nostro (e in queste parole vi è molta amarezza – ndr).

 

Un’ ultima cosa Sig. Bianchi, secondo lei perché dei sei uomini di Alessandria la vostra coppia è quella più famosa?

(A questa domanda Bianchi non risponde, non capisco se per sua modestia o per non rinforzare quelle accuse che sempre hanno accompagnato De la Penne di eccessivo protagonismo

 

*.. Nota di F.Bravi, d.d. 16 VIII 15: Sono convinto che il Comandante Durand de La Penne – discendente di nobile famiglia italiana di origine nizzarda, anche lui decorato di M.O. per il suo comportamento eroico nella Notte di Alessandria – fosse affetto da protagonismo, qualità negativa in contrasto con il secondo “comandamento” del Decalogo della X Mas: «Sii serio e modesto. Hai promesso di comportarti da ardito. Ti abbiamo creduto. Basta così. È inutile far mostra della tua decisione con parenti, amici, superiori e compagni. Non si fa, di una promessa così bella, lo sgabello ella vanità personale. Solo i fatti parleranno». Ricordo bene che Bianchi nell’accennare a taluni dettagli della sua avventura era molto riservato riguardo ai rapporti col suo superiore.

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