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Intervista su Terza Posizione

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La Mosca Bianca ha posto sedici domande a Gabriele Adinolfi

 


INTERVISTA SU TERZA POSIZIONE

 

1. Terza Posizione è stata innovativa nel panorama politico Italiano, e non solo. Qual è stata, secondo la sua esperienza, il motivo trainante?

Non ci sono stati motivi trainanti; come accade quando nascono esperienze significative si è verificata la congiunzione quasi magica di diversi fattori. Il momento storico era unico: le destre estreme irremediabilmente sconfitte nei loro tentativi volti alla presa del potere, la crisi di orizzonti dei ribelli rossi con l’avvio della seconda ondata di contestazione generazionale, l’imbarbarimento dello Stato nell’alleanza Dc-Pci, il cestinamento politico del Msi, la “strategia della tensione” operata dai servizi nostrani con regie e partecipazioni inglesi e israeliane, una guerra civile d’élite e una situazione che poteva essere pre-rivoluzionaria o pre-golpista e che poi si dimostrò pre-golpista perché sfociò nel golpe “consociativo”: tutti questi fattori crearono delle condizioni molto speciali. In quel momento non si poteva più ragionare in termini di presa del potere e neppure di competizione democratica. Fu così che chi propose una logica politica assolutamente diversa, quella del “contropotere” fondato sullo spirito di “militia” si ritagliò uno spazio importante.

Non si trattava solo di slogan o di intuizioni, era la sintesi di un buon decennio di travaglio che aveva attraversato l’intera ultradestra nr, travaglio che si riversava in TP da Avanguardia Nazionale (con Peppe Dimitri e i suoi fedelissimi) da Lotta di Popolo (con Walter Spedicato ed il sottoscritto) e dalla brevissima parentesi Ordine Nuovo – Anno Zero (con i più giovani Roberto Fiore e Vincenzo Piso) . Infine, a causa della consueta decapitazione delle dirigenze della destra estrema da parte della repressione, ci trovammo a gestire il tutto essendo giovanissmi, il che ci consentì di parlare il linguaggio della nostra generazione e di fare perciò particolarmente presa. Avvenne così che, con parole moderne e comunicative, riuscimmo ad esprimere concetti che ci precedevano e ai quali ci rifacevamo restando in una precisa e ineludibile linea di continuità con i nostri riferimenti storici, simbolici, ideali e culturali.

 

2. I quattro punti per vivere e lottare, sono stati fondamentali per la crescita di Terza Posizione; Oggi come ci si rapporta? La Tradizione? – L’indipendenza Nazionale? – L’antimperialismo? – La militanza?

 

Non mi fossilizzeri su cristalli concettuali. Ogni epoca richiede la capacità d’interpretarla e di rispondervi adeguatamente, partendo ovviamente dalle Idee, ma offrendo loro gambe autentiche e non protesi.

Diciamo che la Tradizione dev’essere intesa come ciò che – soprattutto dal punto di vista delle gerarchie concettuali e valoriali – precede le scelte e le detta. Interpretarla come un insieme di costumi antichi da copiare o di vecchiezze in rovina da difendere è ben altra cosa. Che serve solo a dare sfogo alle nevrosi dei refrattari, degli angosciati, degli inaciditi, dei vinti dentro e degli impotenti. TP non cadde in quest’equivoco.

In quanto all’anti-imperialismo noi vivemmo l’ultimo periodo di quel sogno a scala internazionale che era stato tanto bene impersonato da Peron; oggi il quadro mondiale è cambiato. Basti pensare al fatto che quasi tutti i movimenti guerriglieri sono armati dai potenti e spacciano droga: siamo in un altro mondo rispetto a ieri. Ma chi si batte ancora con quello spirito merita tutto il nostro impegno, com è il caso dei Karen.

Anche l’indipendenza nazionale va costruita in un quadro più ampio seguendo o tracciando diversi assi geo-politici, culturali ed energetici: l’autarchia è impensabile anche se un’autonomia frugale potrebbe sempre produrre molto. Ma l’Italia è impensabile senza l’Europa, intesa come potenza e mito.

In quanto alla “militia” che è qualcosa di più di “militanza” essa è essenziale come spartiacque per ogni cosa della vita. Non va però confusa con le mimiche, non va risolta in un atteggiamento, non si esaurisce nel gridare più forte, né nell’odiare, offendere e deridere tutto quello che non fa parte della tribu urbana di appartenenza o che non rientra nel codice ideologico che – purtroppo – in molti usano oggi per surrogare le idee.

Per intenderci: conta l’essenzialità che nulla ha a che vedere con certe interpretazioni con mascella serrata, sguardo allucinato perso nel nulla a simulare un sogno e totale chiusura mentale, gesticolazioni che vengono spacciate per prove di “durezza e purezza”, la quale ultima, poi, lascia spesso a desiderare. Partirei dall’umiltà e dal voler apprendere. Chi ha montato per quattro anni la Guardia d’Onore a Predappio sa di cosa parlo: sono le persone semplici e silenziose che non ti aspetti nemmeno d’incontrare che t’insegnano ad essere quello che pretenderesti di essere. Non dico che chi non ha montato la Guardia non possa saperlo, ma è molto più difficile. Oggi però non è epoca di sacrifici ma di autocelebrazioni. Anche nel dare. Tutti fanno qualcosa. Ma la dedizione assoluta, quella di Popoli nella terra Karen e di Casa Pound Italia per ben due mesi ininterrotti a Poggio Picenze (L’Aquila), è prerogativa di pochissimi. “Militanza” dovrebbe significare andare con loro, o fare come loro o almeno mettersi a loro disposizione. Invece a tanti basta fare un gesto nella direzione in cui altri impegnano la vita per sentirsi presuntuosamente alla pari con loro, a posto con la propria coscienza (in realtà dubito che tutti sappiano cosa significa esattamente la parola) e magari si ritengono anche esemplari. E possono ritenersi tali solo perché mettono in scena, innanzitutto con se stessi, la “militanza” senza viverla. La pretendono, l’inscenano e ne godono il sapore: ciò accade perché vivono nella virtualità e con la mentalità del fascio-consumatore. Quanta più militanza c’è nel volontariato che in molti gruppi che si vorrebbero militanti!

 

3. Perché la militanza, il fare testimonianza con la presenza, il dare esempio, l’avanguardia, dava o dà fastidio?

 

Non esaltiamoci troppo; ci odiavano e basta e ci odiavano perché vedevano in noi i continuatori di coloro che ci avevano preceduto. Demmo poi fastidio quando approdammo nel sociale. La militanza, l’essere esempio, l’essere avanguardia procurava stizza solo ai gruppi chiusi, ai vertici, ai clan, ai capi branco della nostra area. E lo stesso avviene oggi in chi ricopre tali ruoli che puntualmente reagisce così nei confronti di chi fornisce esempi. Costoro sono regolarmente visti con sospetto e si prova a neutralizzarli o a tenerli alla larga per gelosia e timore. E’ accaduto addirittura con la Guardia d’Onore oltre che con Casa Pound ed è avvenuto proprio da parte di chi avrebbe avuto il dovere etico, morale e spirituale di sostenerle, specie la prima. Col tempo cambia chi riveste i ruoli, ma quando gli uomini si sentono pieni di sé, autoreferenziali, egocentrici, ragionano molto in piccolo. Bisogna darlo per scontato e andare oltre. Facendo sì, per quanto riguarda noi stessi, di non lasciarci abbindolare dalle sirene del “potere” lillipuziano che corrode anche gli animi più forti.

 

 

4. La rivoluzione è come il vento! In che senso?

 

Nel senso che bisogna sapercisi affidare, che gli si devono consegnare i germogli da lasciar fiorire lì dove li porterà e non pretendere di guidarlo e men che meno di prenderci, noi, per il vento; che bisogna saperlo ascoltare.

Ascoltare: inisisto su questo punto. Per rivoluzionare bisogna ascoltare e interpretare e non gridare, contro vento appunto, delle verità dogmatiche e delle soluzioni pretes-à-porter.

Si deve saper leggere cosa accade ed essere capaci di riconoscere gli uomini, le cose, i concetti, le funzioni, al di là delle maschere. Gli antichi effettuavano le fondazioni e sacralizzavano gli spazi partendo da questa logica, dopo aver riconosciuto tempi e luoghi. Chi al vento invece vuole imporre leggi prescritte dimentica che “il vento non sa leggere” perché non ne ha bisogno essendo manifestazione del Verbo. Dobbiamo saper leggere noi che siamo condannati alla ragione, ma solitamente declamiamo a voce alta da un crocevia, il che non è la stessa cosa. Siamo anallfabeti che agitano tavole delle leggi.

 

 

5. E’ sempre convinto che qualsiasi tipo di movimento politico va migliorato e potenziato dall’interno?

 

Non so, non credo. Meglio lasciarli morire se sono discentrati, malati, distorti o fuori strada.

 

 

6. Qual era lo spirito di Terza Posizione?

 

Antico e moderno. Etico e ribelle. Rivoluzionario e disciplinato. Ieratico e scanzonato. Gerarchico e comunitario. Gioioso e tragico.

 

7. I successi e le sconfitte ideologiche?

 

Irrilevante.

 

8. I rapporti di Terza Posizione con il M.S.I. E le altre entità politiche di allora?

 

Non parlavamo la stessa lingua e non avevamo gli stessi scopi, né il medesimo sguardo. Ovviamente molti ambienti missini ed anti-parlamentari nr entrarono in empatia con noi e di lì arricchimmo le nostre fila. Poi subentrò la lotta armata ma per parlare di qeusto servirebbe uno spazio a parte.

 

 

9. Né fronte rosso né reazione; è sempre attuale? Come spiegarlo oggi?

 

Oggi sono entrambi miscelati nella Cosa Grigia. Che è un sistema internazionalista, a forte pregiudizio biblico, fondato sulla mentalità comunista, l’anima progressista e la meccanica liberista. Oggi, quindi, lo slogan è improprio e inattuale. Il problema va affrontato altrimenti. Come dicevo più su, ogni epoca richiede la capacità d’interpretarla e di rispondervi adeguatamente, partendo ovviamente dalle Idee, ma offrendo loro gambe autentiche e non protesi.

 

10. Rivoluzione come e con quale modello di ideologia?

 

Evitiamo di dare definizioni dotte o, appunto, ideologiche. Rivoluzione, in termini concreti, significa trasformazione radicale di un modello di vita – sia individuale che collettivo – che non può verificarsi se non si mutano tutte le relazioni di causa e di effetto su cui si basa la società. Dunque le gerarchie valoriali e i criteri su cui si fonda tutto e, perciò, lo stile di vita e le priorità quotidiane su cui si articola l’esistenza.

Chi senta una pulsione rivoluzionaria – ovvero chi non pensi che sia sufficiente migliorare qua e là qualcosa per migliorare il tutto – può avere la tentazione di fare la rivoluzione o puntando all’Utopia (l’isola che non c’è), dunque fondando il tutto su una sorta di divenire messianico ed escatologico in terra, oppure sul Mito (che è “espressione del Logo”).

Il Mito è qualcosa che fu e che si ripete, anzi che è. Il Mito, quindi, non solo è modello ma è modello compiuto. Soprattutto il Mito ha in sé qualcosa che l’Utopia non possiede: detta ad ognuno la necessità di modellarsi su di esso e sugli archetipi che lo esprimono (che sono identici, da Catilina a Pavolini). E il livello di adesione all’archetipo è verificabile, quindi l’accrescimento è possibile, a patto di essere onesti con se stessi.

Per chi, come me, non ritiene valida e forse neppur possibile, una rivoluzione fondata sull’Utopia ma solo sul Mito, consegue che la priorità assoluta è la rivoluzione in se stessi, ogni giorno. (Da cui si comprende il mio “Il primo nemico sei tu”) Si tratta, come dicevo più su, di effettuare fondazioni e di sacralizzare spazi.

Quindi rivoluzione è innanzitutto azione costruttiva, formatrice e creativa, è azione positiva. Non è “antagonismo” sterile ed eccitato, non è reazione scomposta e di fronte ai gossip della politica, non è simulazione auto-ingannatrice di alternative politiche infondate che si vorrebbero aggregare intorno a dei refrattari immaturi in quanto mentalmente adolescenti, che non significa né giovani né fanciulli ma fragili incompiuti.

Rivoluzione è cambiamento quotidiano, nella rispettanza dei criteri, nell’incarnazione dei princìpi, nella creazione di valori, nella realizzazione della giustizia in tutti i campi.

Il fatto che nella destra terminale si parli tanto di difesa dei valori e non si faccia menzione dei princìpi, confondendo quindi il contingente con l’essenziale, indica il livello di sbandamento e di s-radicamento cui è giunta, precipitando, quest’area. Ma non si tratta solo di questo; pretendere di battersi per dei “valori” (che sono sempre e comunque codici da seguire) significa abbandonare l’introspezione e la severità verso se stessi che è obbligatoria quando si vuole “essere” esempio e non invece “predicare”. Ed è così che siamo giunti all’assurdo, generalmente condiviso nella destra terminale, di provare un’intransigenza verso tutti gli altri e un’indulgenza per se stessi. Che va dal rapporto tra area e fuori, a quello tra gruppi e clan all’interno del recinto, fino alla relazione di ognuno con gli altri del suo stesso branco: è un’orgia di presunzione individualistica. Rivoluzione richiederebbe esattamente l’opposto. Ma cosa pretendere da chi, aggrappandosi a moralismi e integralismi di ogni genere, ha finito di essere esempio (ovvero di partecipare al “ciclo eroico” che generò i fascismi) per indicarlo additando un insieme di proibizioni e di obblighi diventando, così, un lungo indice deforme?

La rivoluzione parte da sé: quindi inizia da una rivoluzione culturale che ci liberi dalle infezioni ideologiche che si sono accumulate negli anni e soprattutto ci consenta di realizzare una “polarizzazione” che ci permetta di “ritrovare il nord”. Rivoluzione significa, al tempo stesso, creazione di spazi liberi e acquisizione di potenza e di volontà.

Nulla ha invece a che fare con il ruolo da recitare nell’avanspettacolo della politica o con la formazione di ipotetiche unità di destre estreme coese nella caricatura e nella nebbia.

….

Questo è l’essenziale, il centrale. Poi entriamo nell’opinabile, nel come rispondere all’epoca interpretandola e nel come offrire gambe e non protesi alle Idee (le idologie, materialistiche o religiose, sono invece la fabbrica delle protesi). Nel come, cioè, essere romani, ghibellini, fascisti oggi. Qui il dibattito è aperto.

Sono anni che spiego come penso che ci si debba rapportare con i diversi livelli del potere, con la società e con la cultura, ed ho abbozzato un modello e un metodo. Noto che da quando, nove anni orsono, sono rientrato in Italia, è cresciuto a dismisura il numero di persone che si muovono, con successo, nelle linee che ho teorizzato. Ma, attenzione, non è per falsa modestia se affermo che il mio merito è relativo: ho solo colto l’anima delle cose, non ho insegnato e non ho prodotto chissacché, ho saputo ascoltare e anche un po’ interpretare. Sui metodi e sui modi che suggerisco non posso comunque dilungarmi perché ci servirebbe qualche pagina. Rimando al mio “Quel domani che ci appartenne” edito da Barbarossa e al mio documento politico “Sorpasso Neuronico” che è scaricabile da www.noreporter.org, terza icona dall’alto sulla colonna di sinistra. Noreporter lo curo quotidianamente e intanto seguo diverse realtà politiche (prima tra tutte Casa Pound ma anche frange interessanti sparse a macchia di leopardo ovunque e schierate sotto diverse etichette), sono appassionato ammiratore di Popoli, partecipo attivamente alle iniziative del Soccorso Sociale, coordino il Centro Studi Polaris (autore di studi attuali su problematiche attuali quali la geopolitica della droga o l’immigrazione o i terremoti geo-politici e finanziari). Le “teorizzazioni” prendono solo una parte non essenziale del mio tempo, molto di più è dedicato ad azioni volte in varie direzioni. A dimostrazione del fatto che intenda la rivoluzione come qualcosa che non solo va compiuta tutti i giorni ma che va realizzata meticolosamente, organicamente, in modo complesso e senza l’angoscia dei rivolgimenti immediati e, men che meno, dei riconoscimenti pubblici. Una cosa che mi ha francamente sorpreso è scoprire quanti di coloro che dovrebbero condividere l’Idea del mondo che ci dovrebbe formare sono invece sensibili alle lusinghe, alla vanità, agli esiti personali e a risultati da raggiungere con gambe corte essendo invece del tutto preclusi a qualsiasi impegno che non prometta frutti immediati e non veda loro al centro delle onorificenze. Rivoluzione è, innanzitutto, lasciarsi indietro questa gente. Ecco perché ogni illusione di accordo tra quelli che vivacchiano su porzioni di un’area implosa è priva di senso. Non soltanto perché questa presunta area, patologie a parte, non ha alcuna ragione per sentirsi differenziata dal mondo e non ha dei confini invalicabili tranne per chi si compiace di giacere nel ghetto, ma perché i suoi rappresentanti convivono con tanti e tali di quei difetti individualistici, democratici, rassistici e borghesi che si fa prima ad ignorarli e a tirar dritto che a disilludersi per la costruzione sbilenca dell’ennesima torretta di Lilliput/Babele.

 

11. Secondo lei è l’uomo che rende dannosa un’ideologia? O l’ideologia che rende cattivo l’uomo?

 

L’ideologia serve a fuorviare l’uomo dal buon senso e dal criterio, a fargli rifiutare, spesso per ambizione o presunzione, il ruolo che gli compete. A rendere “cattivo” l’uomo è il fatto di ricoprire ruoli non suoi o funzioni inadeguate, quindi di non essere “in ordine”, in gerarchia. Il “male” per gli Elleni era “assenza di bene” intesa più precisamente come “errore di relazioni”, gerarchiche ovviamente. Diciamo che le ideologie instupidiscono gli uomini ma che uomini non del tutto instupiditi, o magari forti e centrati, escono immuni dal contatto con le ideologie. Politiche o religiose che siano. Ed è invece il riconoscere e l’assumere le giuste relazioni gerarchiche tra uomini e uomini, tra doveri e valori che li rende fecondi, attivi e felici.

 

 

12. Il domani ci appartiene! E’ ancora realtà per i nostri giovani?

 

Il domani è di chi è capace di edificarlo. Non so cosa tu intenda per “i nostri giovani”: i giovani italiani? Non so, ma non condivido le percezioni apocalittiche del presente e del futuro che sono così frequenti nella destra terminale. Ci sono elementi per il pessimismo, altri per l’ottimismo. Questi ultimi sono molto maggiori oggi che vent’anni fa comunque, contrariamente al disfattismo arrogante che attanaglia chi si sente superiore e isolato.

 

 

13. Negli atti processuali contro Terza Posizione, il Pubblico Ministero sostenne che: “Il militante di Terza Posizione compie un reato contro la personalità dello Stato anche e solo col proprio essere presente….” Perché?

 

Perché non avevano elementi concreti contro di noi e perché ci consideravano come gli eredi di quello che avevano sempre odiato e che noi avevamo scelto come mito. E che mise paura davvero a certi uomini. Ci considerarono perciò molto, ci esaltarono.

 

14. Dei tanti militanti di Terza Posizione chi ricorda con più affetto?

 

Quelli che non sono più qui come Francesco Mangiameli, Nanni De Angelis, Fulvio Cellini, Walter Spedicato e Peppe Dimitri (che fu il nostro vero e proprio Rex) e quelli che sono ancora in prigione come Luigi Ciavardini e Pasquale Belsito.

 

 

15. Qual è stata la causa determinate per lo scioglimento di Terza Posizione?

 

La ristrutturazione del potere dettò l’obbligo di far fuori tutte le turbolenze presenti in Italia, considerate e trattate come escrescenze. In realtà si trattava soprattutto dell’ultrasinistra; pretendere che noi facessimo paura al potere potrebbe anche farci piacere e solleticare in noi narcisismo e magalomania ma sarebbe mentire agli altri e a noi stessi. Fummo eliminati più per par condicio che per altro. Comunque in qualche modo ci avrebbero prima o poi fermati pur senza temerci, semplicemente perchè ci odiavano. Erano quasi tutti partigiani e il loro odio non può che riempirci d’orgoglio.

 

16. Terza Posizione era, è e sarà?

 

Ad essere eterno è lo spirito. Essersi ricollegata allo spirito riuscendo a esprimerlo con la propria anima è ciò che rese e mantiene tuttora significante Terza Posizione. Perché in molti s’ispirano allo spirito o ne imitano precedenti incarnazioni ma è raro che si giunga quasi magicamente ad esprimerlo, con piena naturalezza: e TP vi riuscì. Non ci si deve confondere mai: è lo spirito che era e sarà sempre, in quanto è. Di Terza Posizione dovrebbe interessarci l’anima, ovvero il modo di esprimere i concetti, di sentire il mondo e di rapportarvisi. Non si deve provare a imitarne l’anima, però, si può solo cercare una qualche sintonia e analogia con essa, il che è molto diverso. Sul piano corporeo infine, ovvero per quello che concerne la riedizione del modello politico, si deve cambiare prospettiva, sia perché i tempi lo impongono sia perché provare a far rivivere quel che fu è più una forma di voodoo che altro. Quasi non passa giorno senza che qualcuno mi chieda se non sia il caso di ricreare TP e la mia risposta è sempre la stessa. Gambe, non protesi!

 

Gabriele Adinolfi

Grazie, Stefano Pantini

 

 

 

 

 

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