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La festa del femminicidio

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Oggi l’otto marzo ha infine assunto una funzione

 

La festa della donna è sempre stata una pagliacciata avvilente.
Stabilire un giorno per la donna è stato come quando nel medioevo fu istituito il giorno per lo scudiero o come successivamente un giorno per i malati di leucemia, un giorno per i malati di aids.
Insomma significava esprimere una diversità di categoria ammettendone la subalternità e l’eccezionalità marginale. Altro che storie. Se per femminismo s’intende l’affermazione della femmina (non dico della femminilità che sarebbe troppo pretendere) l’otto marzo è stato sempre un boomerang.
Poi, con l’andare del tempo, tutto si è frantumato e categorizzato. Non esistiamo più come popoli, nazioni, persone, caratteri, personalità e comunità ma come minoranze categoriali.
E’ tutto un “pride”, ovvero una triste e grottesca esibizione di un’ eguaglianza-diversa che pretende di essere uguale sì ma con prerogative diverse e privilegiate.
Così abbiamo le Paola Concia che propongono aggravanti nelle risse se a prenderle è un omosessuale e infine l’ultima bizzarria filologco-giuridica definita “femminicidio”.
Insomma difendiamo una specie protetta.
In quest’avvitamento e in quest’implosione culturale e sociale il “women pride” ci sta tutto.
Il circo triste e senza respiri si addice oggi ad Elettra.
Che si faccia presto anche un maschio-pride è prevedibile anche se ci si domanda dove si andranno a cercare le palle per fingersi maschi.
Comunque sia, nella società categorizzata tra minoranze protette, esser maschi non conviene.
Esiste una tipologia che sarà sempre colpevole di tutto e che non sarà difesa da nessuno: il maschio bianco eterosessuale. Peggio ancora se osa produrre.
Affrettatevi a comprar loro le mimose altrimenti vi picchiano.

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