giovedì 26 Dicembre 2024

La guerra del tonno

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La nuova strategia americana per il Pacifico

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è coincisa con la firma di un trattato di sicurezza globale tra le isole Salomone e la Repubblica Popolare Cinese. Lo scorso 19 aprile, quando tutti i riflettori erano puntati sull’Ucraina, i ministri degli Esteri di Cina e Isole Salomone, rispettivamente Wang Yi e Jeremiah Manele, annunciavano di aver siglato un accordo quadro relativo alla cooperazione in materia di sicurezza. Una lunga perifrasi per indicare un patto che avrebbe coperto un’ampia gamma di ambiti, tra cui sicurezza sociale, tutela della proprietà privata e aiuti umanitari.
L’accordo, si affrettavano a specificare Pechino e Honiara, non intendeva “danneggiare terze parti” e puntava semplicemente ad ampliare i meccanismi di cooperazione già esistenti nella regione. Una bozza del documento, tra l’altro, era già stata siglata dai funzionari dei due Paesi il 31 marzo precedente. Nessuno si aspettava tuttavia che l’affare potesse andare in porto. E invece la fumata bianca c’è stata eccome, così come non sono mancate le piccate reazioni di Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda, secondo i quali la Cina potrebbe sfruttare la circostanza a proprio vantaggio e istituire, ad esempio, una base militare nell’arcipelago.
“Non abbiamo intenzione di farci coinvolgere in una lotta di potere a carattere geopolitico” e non siamo disposti a schierarci, spiegava il primo ministro delle Isole Salomone, Manasseh Sogavare, definendo “offensive” le critiche internazionali ricevute per l’accordo. Ebbene, il timore di Washington è che l’accordo con Honiara possa essere soltanto il primo di una lunga serie di patti tra la Cina e partner simili, capaci di fornire al Dragone molteplici vantaggi nell’area dell’Indo-Pacifico. È per questo motivo che gli Stati Uniti hanno subito reagito per impedire al proprio rivale strategico di espandere la propria influenza in un’area chiave per gli equilibri geopolitici del futuro. In che modo? Mettendo sul tavolo con un gruppo di isole del Pacifico, molte delle quali finite nel mirino cinese, un accordo di pesca che, nelle intenzioni di Washington, dovrebbe rafforzare i legami di sicurezza in Oceania per ostacolare i piani di Pechino.

Le isole Salomone al centro del mondo
La risposta degli Stati Uniti alla diplomazia cinese è stata soprannominata “politica del tonno“. La vicepresidente Usa, Kamala Harris, è apparsa in collegamento video al Forum delle Isole del Pacifico (PIF) in quel di Suva, capitale delle Isole Fiji, lo scorso 13 giugno, mentre descriveva ai partecipanti la rinnovata spinta diplomatica di Washington nella regione. La Casa Bianca era pronta a fornire a questi Paesi 60 milioni di dollari all’anno di nuovi aiuti, pesca e misure di sviluppo (da qui il riferimento al tonno). “In un momento in cui vediamo attori cattivi che cercano di minare l’ordine basato sulle regole, dobbiamo rimanere uniti”, ha quindi detto Harris, in quello che, ha sottolineato il Financial Times, i delegati hanno inteso come un evidente riferimento alla Cina.
Ricordiamo che il rinnovato trattato sulla pesca del tonno nella regione era stato originariamente firmato 32 anni fa e che sarebbe scaduto alla fine dell’anno in corso. L’accordo è stato descritto come unico nel suo genere, visto che ha permesso agli Stati Uniti di prender parte ad un forum e trattare con 14 Paesi della regione su base multilaterale. Semi Koroilavesau, ministro della pesca delle Fiji e presidente dell’organismo di pesca del PIF, ha dichiarato al Financial Times che raggiungere l’accordo consentirebbe di negoziare misure sussidiarie sul cambiamento climatico e sulla sicurezza marittima. Tuttavia, il fatto che Harris sia comparsa al forum è risultato un gesto alquanto provocatorio. Il PIF aveva chiesto la sola partecipazione dei membri alla conferenza, in modo che i leader potessero discutere questioni regionali tra cui il cambiamento climatico e la pesca illegale. La comparsa del braccio destro di Joe Biden non avrà certo fatto piacere alla Cina. Che, per questa regione, ha decisamente altri piani.

Il piano di Pechino
La Cina ha almeno tre ragioni che potrebbero spiegare il suo interesse per l’intera area oceanica, per non parlare della regione più allargata comprendente l’intero Indo-Pacifico. Prima di tutto Pechino ambisce a stringere nuove amicizie nell’ottica di perseguire il concetto di “comunità umana dal futuro condiviso”, una sorta di comunità internazionale basata, a detta del Dragone, su molteplici rapporti win-win tra i vari membri.
La Repubblica Popolare, inoltre, deve necessariamente mettere radici più solide in zone geopoliticamente rilevanti, o perché incluse nel progetto della Nuova Via della Seta o sedi di basi americane; da questo punto di vista, per i cinesi è necessario stabilire o rafforzare la presenza fisica nei luoghi chiave. Come se non bastasse, la Cina è all’opera per accrescere il proprio peso specifico come potenza marittima, un traguardo raggiungibile sia potenziando la Marina che allestendo un meticoloso “filo di perle”diplomatico formato da una serie di isolette strategiche.
Last but not least, creando nuove intese la Cina potrebbe, almeno in teoria, isolare ulteriormente Taiwan, togliendo alla provincia ribelle gli ultimi Paesi alleati, che molto spesso coincidono con nazioni povere e sperse in mezzo al nulla geografico.
Quello stretto con le Isole Salomone, a detta degli Stati Uniti, potrebbe essere la punta dell’iceberg, nonché il prototipo di ulteriori e futuri accordi con altri attorit. Nello specifico, il Guardian ha rilasciato alcune indiscrezioni non confermate né confermabili. Il quotidiano inglese ha scritto che l’intesa siglata tra Pechino e Honiara conterrebbe disposizioni che consentirebbero la sicurezza cinese nel Paese oceanico e il dispiegamento navale nella nazione insulare del Pacifico colpita dalla crisi. Sempre stando alla presunta bozza citata dal Guardian, la polizia cinese armata potrebbe essere dispiegata su richiesta delle Isole Salomone per mantenere “l’ordine sociale”.

Lotta per il Pacifico
Politica del tonno o accordi sicurezza, investimenti o prestiti, è chiaro che Stati Uniti e Cina hanno appena dato il via ad una lotta diplomatica per accaparrarsi il Pacifico. La rinnovata spinta degli Stati Uniti per “conquistare” quest’area è in effetti un segno distintivo dell’amministrazione Biden. Non a caso Harris, in occasione del recente PIF, affermava che negli ultimi anni le isole della regione “potrebbero non aver ricevuto l’attenzione diplomatica e il sostegno che meritano”.
Frank Bainimarama, primo ministro delle Fiji, ha descritto la proposta degli Stati Uniti – che, va sottolineato, richiede ancora l’approvazione del Congresso – come un “potente impegno”. “Gli Stati Uniti sembrano chiaramente più simili al partner del Pacifico che abbiamo sempre ritenuto essere”, ha affermato. Anthony Albanese, primo ministro australiano, ha invece dichiarato, sempre a Suva, che l’impegno degli Stati Uniti è in linea con i più ampi tentativi regionali di contrastare la crescente influenza della Cina nella regione. “Il messaggio è molto chiaro. Gli Stati Uniti sono presenti nel Pacifico e lo sono da molto tempo”, ha aggiunto.
All’inizio dello scorso giugno il ministro degli Esteri cinese Wang Yi si è reso protagonista di un tour attraverso la maggior parte delle isole del Pacifico. Il suo obiettivo, al momento fallito: concludere un ampio accordo commerciale e di sicurezza con 10 Paesi della regione. L’ambizioso accordo – che avrebbe coperto un’ampia gamma di questioni, dalla sicurezza informatica a un’accademia di formazione della polizia finanziata dalla Cina, alla creazione di più collegamenti culturali cinesi attraverso le nazioni del Pacifico – aveva lo scopo di legare la regione a Pechino. Abbiamo usato il condizionale perché, come ha ben ricostruito la Bbc, l’accordo è stato sospeso dopo che molti dei Paesi coinvolti si sono rifiutati di firmare, esprimendo preoccupazioni su alcuni aspetti del patto.
Dopo la fumata nera, la Cina ha pubblicato un documento in cui sosteneva di essere ancora “impegnata ad approfondire la sua partnership strategica” con le nazioni del Pacifico. Il paper ha elencato varie proposte che la Cina ha in serbo per la regione, inclusa la concessione di sovvenzioni a varie iniziative delle isole del Pacifico e vari forum per rimanere in costante comunicazione. La Cina tiene d’occhio da tempo le isole del Pacifico, dove dal 2006 ha costantemente accresciuto il suo commercio, gli aiuti, le attività diplomatiche e commerciali. Basti pensare che, tra il 2006 e il 2017, Pechino ha fornito quasi 1,5 miliardi di dollari di aiuti esteri alla regione, attraverso un mix di sovvenzioni e prestiti.

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