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La guerra nel corridoio

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Le diverse correnti della destra rispecchiano i conflitti interni al sistema

 

L’invidia, la gelosia, il servilismo e le congiure di palazzo sono gli ingredienti principali delle liti politiche di casa nostra ma non spiegano tutto. Esistono anche altre chiavi di lettura – intervenute successivamente, perché vi si sono orientati, poi, i singoli animati, prima,  dai risentimenti e dall’ostilità – che hanno una seria valenza politica.
Trentasei anni fa, quando sostenni l’esame di “storia dei partiti politici”, mi fu assegnato come testo aggiuntivo “La destra in Francia”, credo che fosse di Rémond René.
L’analisi era interessante, vieppiù se consideriamo che fu proprio in Francia che le categorie di destra e sinistra si formarono; ergo il significato assume un valore maggiore di quello che avrebbe avuto se il libro avesse trattato di un particolarismo belga, irlandese o portoghese.
Quella traccia ci sarà utile a interpretare l’oggi.

Legittimismo, Bonapartismo, Orleanismo

L’autore schematicamente divideva la destra in tre filoni storico-culturali che si differenziano tra loro: Legittimismo, Bonapartismo e Orleanismo.
Il Legittimismo si fonda sulla legittimità dall’alto: cioè su Trono e Altare, e rifiuta o ripudia le tendenze tribunizie.
Il Bonapartismo si basa sulla figura del capo che interpreta la volontà popolare e che ha un forte legame emotivo diretto con le masse; e si delinea, al contempo, sulla mobilitazione popolare: è insomma un cesarismo tribunizio.
L’Orleanismo, che prende il nome dal ramo cadetto della monarchia francese, sempre in congiura per l’usurpazione del Trono, è parlamentarista, liberale, liberista, moderatamente “illuminato” e sostanzialmente classista.
L’autore, fatte queste precisazioni, analizzava come le tre grandi tendenze della destra (o forse sarebbe meglio dire “a destra”) si erano incontrate, scontrate, fuse, separate, durante la storia francese dalla Restaurazione fino al Gollismo.

Bonapartisti e orleanisti nella maggioranza

Nella lettura delle liti di condominio che avvengono oggi intorno al governo, questa chiave di lettura ci può aiutare per individuare l’anima e la cultura dei differenti comprimari perché taluni elementi sostanziali sono presenti, benché, ovviamente, la situazione sia diversa oggi in Italia rispetto a ieri in Francia.
Non si può parlare di un vero e proprio Bonapartismo se a questo vogliamo attribuire quei dati culturali e mentali che lo hanno poi rigenerato nel Fascismo e nel Peronismo.
Se però lo prendiamo in senso lato, come matrice politica avversa alla delega e animata dalla preferenza espressa per un filo diretto con la popolazione, se quindi accettiamo la tesi dell’autore secondo la quale  vi è una discendenza bonapartista anche nel Gollismo, diventa agevole concludere che questa vocazione accomuna Berlusconi, i suoi fedelissimi e la Lega.
Più piena è la corrispondenza tra l’antico e il nuovo Orleanismo, inteso come un classismo sociale, istituzionalmente parlamentarista, strettamente oligarchico, moderatamente iluminato, che briga contro ogni Auctoritas e che fa sua la cultura della congiura. Fini non perde occasione per esprimersi in quella direzione, per di più con gli stessi metodi e la stessa moralità degli Orléans d’antan. Inoltre gli orleanisti rappresentavano il partito inglese in Francia e Fini da anni fa piedino con la City.
In questa guerra di posizione tenta di inserirsi come “risolutore”, più come un nuovo Thiers che come quel moderno Colbert che tutti dicono, Giulio Tremonti che prova costantemente a rispondere sia alle istanze bonapartiste che a quelle orleaniste; lo si ricava agevolmente leggendo il suo libro e anche i suoi migliori interventi pubblici che sono pervasi di giustissime e radicali accuse al sistema glob/liberal ma che si concludono sempre con esiti compromissori.

La gran differenza

Non si tratta di questioni formali o capziose. Un Bonapartismo declinato, sia pure in forma di un democraticissimo Gollismo, si fonda per forza sulla sovranità nazionale e popolare ed è destinato per sua natura e per le sue priorità nelle scelte, anche economiche, a favorire nel quadro internazionale le tendenze di “scissione” dal cosmopolitismo mercantile e non quelle di ricomposizione unitaria, propugnando così l’avvento di un modello  nazional-continentale.
Assume dunque in sé due valenze d’importanza capitale: tende, volontariamente o meno, al riscatto dell’autonomia nazionale e all’incrintaura del sistema  internazionale.
L’Orleanismo va esattamente nella direzione opposta: garantisce il sistema internazionale andando a minare ogni autonomia e sovranità sia nazionale che popolare.
Come pensi Tremonti di rappresentare ambo le tendenze non è dato sapere, perché ne prevarrà una soltanto e la loro coesistenza potrà, al massimo, essere formale, ma sarà la coabitazione tra un vincitore e un vinto.

Il Legittimismo zoppo

Resta il Legittimismo o, per meglio dire, quello che esiste in Italia, ossia un Legittimismo zoppo.
La nostra storia è così differente da quella francese che, in assenza di una dinastia e di una tradizione monarchica italiana degne di questo nome, una corrente legittimista non ha mai potuto formarsi per davvero.
Ciò non ha impedito che una sensibilità fondata sul nostalgismo e sulla speranza che le soluzioni vengano prima o poi da un deus ex machina assumesse varie forme antropologiche e (sotto)culturali.
A destra abbiamo così due generi diversi di Legittimismo. L’uno è sentimentale e si rifà non tanto al Fascismo in sé (ché è prevalentemente bonapartista) quanto al Msi assediato, al simbolo della Fiamma, o a figure mitizzate ed angelizzate come Almirante. Ciò produce una soggettiva fedeltà emotiva a una presunta età dell’oro.
Questo sentimento lo ha costantemente capitalizzato la Fiamma Tricolore che puntando solo su di esso è andata a raccogliere voti e rimborsi senza mettere mai l’accento su quelle progettualità che i quadri di base si affannavano a proporre.
Ha invece frainteso  la Destra di Storace allorquando ha provato a mescolare quel “legittimismo” irrazionale con manovre politiche trasversali, come è accaduto alle ultime europee e lo ha pagato carissimo.
Ciononostante i resti di quel partito hanno ancora una carta da giocare: se si porranno come fedeli di Berlusconi da destra contro l’orelanismo finiano troveranno ancora un elettorato.

Un Legittimismo  zoppo meno sentimentale

Un Legittimismo più politico c’è ma si è accontentato, in mancanza di un Trono, di legarsi all’Altare, è dunque più che altro un Mezzolegittimismo guelfo.
Questo filone si dispiega dalla periferia al centro del potere  da Forza Nuova a Formigoni  passando per Alemanno.
In mancanza di un proprio progetto articolabile, i “legittimisti” presenti nella maggioranza si sono accodati alla linea prevalente ma senza mai rompere con quella che le si oppone.
Ciò è comprensibile perché se il Bonapartismo si basa sulla sovranità nazionale e popolare e l’Orleanismo invece sulla dominazione oligarchica garantita dalla sottomissione internazionale, il Legittimismo persegue più che altro un modello statico, apparentemente stabile, privo d’inventiva, ma che si vuole solido di per sé. Non è sua preoccupazione reale l’indipendenza e ancor meno lo è la vera partecipazione, per esso conta soltanto una gerarchizzazione devitalizzata e immutabile che produca un dirigismo moralista alla testa di gente che si considera suddita, dunque senza destino. E che  importa, allora, se obbedisce o meno a New York purché gli ordini passino, filtrati, per i garanti di Città del Vaticano? Ma persino l’influenza effettiva del clero conta fino a un certo punto: quello  cui i “legittimisti” tengono fermamente è la garanzia ecclesiastica in sé, perché legittima la loro casta di  annobiliati, aspiranti notabili perpetui, di nuovi signori orgogliosi del loro status che osservano benevolmente dall’alto la plebe che amministrano per diritto divino.

Centro e sinistra

Questo è il quadro a destra.
Al centro è rimasto, ovviamente, solo l’Orleanismo e questo spiega perché Casini, Fini e Rutelli si capiscano così bene.
A sinistra c’è il vuoto; essa vivacchia solo per l’anti o per l’affezione; colà si abbozza di quando in quando qualche schizzo lib-lab, anzi lib e poco lab, che non convince nessuno, neppure chi lo propone.
Imperversa poi, per cavalcare il populismo di oggi, il guitto Di Pietro, metà Robespierre e metà Pulcinella, che alla fine della fiera manda tutto in caciara.

L’appuntamento imminente

Sta avvenendo insomma quello che avevamo previsto per tempo: gli scontri oggi, e per un periodo transitorio ma non brevissimo,  sono  interni al capitalismo e alle maggioranze di governo, si combattono nelle coalizioni più che tra le coalizioni. Le linee di faglia attraversano il panorama esistente e ciò avviene in un momento d’importantissimi mutamenti internazionali che traggono in sé e pertanto producono due conseguenze notevoli anche se di segno diverso, l’una di tipo positivo, di negativo (ma ricco di potenzialità) l’altro: l’avvio di una possibile sovranità europea e l’aumento costante della proletarizzazione.
Questo induce a prepararsi per l’appuntamento imminente e a progredire perciò nella direzione del Bonapartismo compiuto, autentico, radicale, nella forma di autonomie politiche, intreventiste, e pronte a declinare, in dialettica trasversale, un nuovo Peronismo per gli anni a venire.

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