Pochi fondi? Problemi per le pensioni vitalizie maturate nell’antifascismo
Ornella Pajalich, 84 anni, perseguitata lei e la sua famiglia dalle leggi antiebraiche fasciste, non ha diritto alla pensione di benemerenza che lo Stato riconosce alle vittime delle discriminazioni razziali del regime perché, per la Corte dei conti, può andare a lavorare. La sentenza shock (che contraddice una recentissima direttiva del ministero del Lavoro), depositata proprio nel giorno della Memoria, è la numero uno del 2010 della Prima Sezione di appello presieduta dal giudice Davide Morgante.
La signora Pajalich aveva ottenuto l’assegno di benemerenza in primo grado in quanto il giudice contabile Agostino Basta aveva riconosciuto le discriminazioni subite da lei e, in particolare, dal padre Luigi, “doppio” perseguitato: come ebreo e come antifascista. Luigi Pajalich fu vittima delle leggi razziali e condannato per la sua attività politica contraria al fascismo. Lo dimostrano sentenze di condanne del Tribunale speciale, verbali delle questure fasciste e altri documenti prodotti durante la causa dalla figlia. Secondo il giudice Basta, il cittadino italiano di religione ebraica Luigi Pajalich aveva dunque diritto all’assegno di benemerenza come perseguitato razziale e come antifascista, benemerenza della quale alla sua morte – come previsto dalla normativa sulla reversibilità delle indennità previste per i perseguitati dal fascismo – beneficiò la figlia, anche lei vittima delle leggi razziali.
Ma alla sentenza di primo grado che riconosceva il sussidio alla famiglia Pajalich si è opposto, attraverso l’Avvocatura generale dello Stato, il ministro delle Finanze, che ha presentato ricorso in appello. E il secondo grado della giustizia contabile ha ribaltato la sentenza. “Poiché l’interessata non risulta sia stata riconosciuta inabile a proficuo lavoro dalle competenti Commissioni mediche”, si legge nella motivazione della sentenza, “la Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale, nega il diritto della signora Ornella Pajalich alla reversibilità dell’assegno vitalizio di benemerenza”.
Niente vitalizio, a 84 anni si cerchi un lavoro. Si tratta di una sentenza destinata a fare discutere anche perché contraddice quanto riferito alla Camera, proprio alcuni giorni fa, da Pasquale Viespoli, sottosegretario al Lavoro, in risposta a un’interrogazione presentata dal deputato pdl Fiamma Nirenstein. “Come requisito per la concessione del vitalizio – riferisce il viceministro al Parlamento – per i soggetti di età superiore ai 65 anni è previsto unicamente un limite reddituale escludendosi quindi la sottoposizione a visita medica”.
“Ne risulta – spiega l’avvocato Rafael Levi, esperto di questa materia – che la prima sentenza di appello del 2010 crea un inquietante (e isolato) precedente. Ci chiediamo se c’era davvero bisogno di liquidare in una sola pagina un punto così sofferto e delicato (si tratta di assegni riparatori a coloro che furono perseguitati a causa di atti dello Stato, le leggi razziali e le persecuzioni, non certo di pensioni di guerra, che presuppongono il ben diverso adempimento di un dovere), cui hanno aderito decine di giudici di primo grado, confermato dalla stessa Camera dei deputati, senza almeno rimettere la questione alle Sezioni riunite”.