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La terapia della paura

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“La condizione dell’animale domestico si porta dietro quella della bestia da macello”

L’uomo, si sa, è un animale fragile per natura. Non ha istinti, quindi, nel bene e nel male non ha neppure un riconoscimento innato del mondo, che deve costruirselo attraverso mappe disegnate dall’imprinting genitoriale, dall’esperienza personale, dalla cultura acquisita e, quando sufficientemente motivato e convinto, da un volontario lavoro su di sé.
Quelli che arrivano in vario modo e per strade diverse all’ultimo passaggio, e lo percorrono in una mai conclusa conoscenza, non acquisiscono una inesauribile forza o risolute certezze, ma strumenti efficaci e idonee competenze per la mappatura di quel viaggio più o meno lungo che si chiama vita.
Il sistema ha paura di questi “persuasi”, per dirla alla Michelstaedter, degli uomini differenziati, perché refrattari ad ogni tipo di propaganda e immuni dalle lusinghe di sicurezza del potere. Questi leggono tra le righe, sbirciano dietro alle quinte, origliano nei fuori onda, decifrano la mimica, parlano sottovoce, osservano con discrezione, giudicano con freddezza: “Astuti come serpenti e puri come colombe”, secondo Matteo 10,16.
È scontato che lo stesso sistema sia abbondantemente attrezzato per ostacolare questi irriducibili non omologati né omologabili, ma evita l’attacco frontale se non strettamente necessario, e preferisce agire sulla maggioranza adattabile e inconsapevole: cosa di meglio, allora, se non la paura?
La paura è un potente mezzo di propaganda perché, attraverso di essa, si agisce sul centro delle emozioni attivando gli aspetti patologici di queste, come le fobie, le ossessioni, il senso di allarme fino all’angoscia e all’attacco di panico. Questa strategia è molto più efficace della violenza esplicita in quanto insinuante, equivoca, confusiva, e permette al potere di applicare una doppia tattica.
Da un lato, porsi come salvatore della maggioranza con decreti di sicurezza e provvedimenti di tutela, spacciandoli come esigenze di salvazione popolare e chiedendo, con subdolo buonismo, l’obbedienza generale e il conseguente supporto morale alle sue decisioni.
Dall’altro, additare al pubblico disprezzo coloro che non si piegano ciecamente alle indicazioni contraddittorie e contrastanti del potere; accusare i resistenti di non avere a cuore la salute del vicino e dei suoi concittadini; denigrare, fino a soffocare, le voci non allineate alle disposizioni governative.
I persuasi, i differenziati hanno a loro favore una condizione che terrorizza il sistema: la mancanza di paura. Il sistema ha paura di chi non ha paura. E allora un metodo per emarginarli è buttare loro addosso il biasimo della massa mansueta e obbediente, di colpevolizzarli per colpe inventate e per delitti escogitati.
“Gli uomini in certi momenti sono padroni del loro destino; la colpa, caro Bruto, non è delle nostre stelle, ma nei nostri vizi”: è questo avvertimento del Giulio Cesare di Shakespeare che dovremmo tenere a mente. Se poi anche questa esortazione non dovesse bastare, c’è sempre Jünger che ci viene in soccorso, e che ci ammonisce come “il grande rischio è che l’uomo confidi troppo in questi aiuti [del potere] e si senta perduto se essi vengono a mancare. Ogni comodità ha un suo prezzo. La condizione dell’animale domestico si porta dietro quella della bestia da macello. […] Quando l’uomo capisce questo, è libero”.
A ognuno la sua scelta: schiavo e angosciato della paura, padrone e sereno nel rischio.

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