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La testa sulla picca

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La Cassazione conferma il sequestro della sede barese di CasaPound

Via libera al sequestro preventivo della sede di Casapound, utilizzata come base operativa per spedizioni squadriste, e come rifugio a “missione” compiuta. Con questa motivazione la Cassazione (sentenza 36163 del 16 agosto) ha confermato il no del Riesame al dissequestro della sede di Bari. Una misura cautelare adottata dopo una spedizione punitiva, del 21 settembre 2018, contro il corteo organizzato dal movimento “Mai con Salvini”. In quell’occasione erano state aggredite più persone, e quattro avevano presentato querela.
La violenza come metodo di lotta politica – Il sequestro della sede è avvenuto nell’ambito del procedimento per lesioni contro il responsabile della sede e altri aggressori. La misura cautelare è stata adottata in base alla legge Scelba, che punisce i raid squadristi. La Suprema corte, chiarisce che, nel caso specifico, non sono state censurate le idee, o il saluto romano o l’intonazione del coro “presente” in genere utilizzato dagli aderenti a Casapound, ma «l’uso della violenza come metodo di lotta politica».
Dalle dichiarazioni delle vittime e dei testimoni, avvalorate dalle video-riprese delle telecamere di sorveglianza, è emerso che presso la sede di via Eritrea, di solito poco frequentata, si erano radunati 30 militanti, arrivati anche dalla provincia.
L’aggressione squadrista – Al termine della manifestazione 16 militanti di Caspound, prima schierati davanti alla sede “a braccia conserte”, avevano aggredito gli aderenti ai centri sociali che tornavano dalla manifestazione. Un pestaggio, scrivono i giudici «attuato con esplicite rivendicazioni del predominio territoriale ed ideologico» . L’”assalto” con manganelli, catene ecc. era stato messo in atto al grido di «andatevene m…, qua comandiamo noi» e «antifascisti di m…».

In realtà il corteo antifa, minaccioso ed armato, non avrebbe dovuto passare di lì nell’intento di assalire la sede, difesa dai sedici “aggressori” ma si sa come funzionano le cose in Italia.

Nella sede, perquisita, erano state trovate armi improprie, un busto di Mussolini e altre effigie del nazi-fascismo. Mentre nelle abitazioni degli aderti al movimento c’era materiale inequivocabilmente riconducibile all’ideologia nazi-fascista compreso il “classico” ”Mein Kampf”. Ma la Suprema corte ribadisce che, lungi dall’aver criminalizzato le idee e la semplice propaganda, il Tribunale ha censurato il metodo di lotta contro di avversari di un diverso colore politico.
Il sequestro dell’immobile – Non passa la tesi della difesa, secondo la quale, il sequestro dell’immobile era illegittimo visto che la sede non era un “covo”, ma un luogo stabilmente destinato ad attività socio-culturali. Un uso irrilevante, per i giudici, ai fini del pericolo di reiterazione di reati, perché le attività lecite non escludono la possibilità che lo stabile possa essere utilizzato nuovamente come base operativa «per analoghe aggressioni ideologicamente connotate e organizzate, o comunque per altre manifestazioni di carattere fascista». Il collegio della quinta sezione penale ricorda che non spetta alla Cassazione, nel valutare l’esigenza della misura cautelare, esprimere un giudizio nel merito dei fatti, ma solo giudicare la legittimità della misura adottata rispetto al rischio che il bene possa essere strumentale ai fini di un aggravamento delle conseguenze del reato ipotizzato o di altri crimini. E i presupposti per il sequestro ci sono tutti.

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