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Ha parlato come un Conte

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I messaggi in codice per una caricatura imperiale in chiave veterotestamentaria e marxista

Ha fatto molto discutere la citazione di Federico II di Svevia fatta dal premier Giuseppe Conte ieri nell’aula del Senato. Al di là degli evidenti abbagli letti e sentiti in giro – sui social c’è chi ha confuso Federico II Hohenstaufen con l’omonimo re di Prussia della famiglia degli Hohenzollern, addirittura su SkyTg24 c’è chi ha sostenuto che Conte si sia sbagliato perché “non esiste un Federico II di Svezia” (cit.) e che quindi probabilmente intendesse il Federico II di Prussia – in molti hanno voluto vedere nella frase riportata un richiamo alla laicità razionalista in contrapposizione con l’esposizione di simboli religiosi uniti a invocazioni alla Madonna fatti da Matteo Salvini.
Questa la citazione testuale: “Quantunque la nostra maestà sia sciolta da ogni legge, non si leva tuttavia essa al di sopra del giudizio della ragione, che è la madre del diritto”.
In realtà a quasi tutti è sfuggita una sottigliezza storico-politica molto fine da parte del premier. Il passo citato è estratto da una lettera inviata a Roma dallo Stupor Mundi che fu accompagnata da un prezioso dono al popolo dei Romani: il Carroccio strappato alla Lega Lombarda nella battaglia di Cortenuova del 1237. Il passo citato tra l’altro rivendicava la sovranità assoluta dell’Imperatore contro i tentativi autonomisti dei Comuni del nord.

Un’altra idea di Europa
Insomma, con una sola frase Conte ha voluto “offrire” simbolicamente, proprio a Roma, un Carroccio e quindi una Lega sconfitti e al contempo ha voluto bacchettare tanto le istanze autonomiste delle regioni del nord quanto quelle sovraniste, paragonandole implicitamente alle battaglie disgregatrici dei Comuni che lottarono contro l’Impero. Sarebbe tutto molto bello se davvero Giuseppe Conte fosse il promotore di un’idea federiciana di Europa, basata su quel concetto ghibellino di civiltà europea imperiale che fu caro a Evola ma anche e soprattutto a Berto Ricci. Ovviamente la visione di Conte è del tutto opposta.
Il riferimento allo Stupor Mundi non è assolutamente un omaggio al ghibellinismo, come abbiamo visto è stato più una sottilissima – e dobbiamo dire molto colta – stoccata al suo avversario, che difficilmente però avrà colto. Ma i riferimenti alla “sua” idea di Europa, politica e culturale, sono stati invece piuttosto chiari ed espliciti. Ha rimarcato il ruolo fondamentale dell’Italia nell’elezione di Ursula von der Leyen alla Presidenza della Commissione europea, tra l’altro chiaro messaggio di sponda all’idea di “governo Ursula” lanciata da Romano Prodi per un asse Pd-M5S (asse che permise appunto l’elezione della von der Leyen).

Quali riferimenti?
Ha poi citato Jürgen Habermas, uno dei massimi esponenti della Scuola di Francoforte, ovvero la scuola neo marxista nata in Germania ma sviluppatasi a New York che lasciando da parte la classe operaia vedeva nei gruppi marginali quali immigrati e vittime di razzismo i veri grimaldelli che avrebbero aperto le porte verso il nuovo mondo utopico socialista (vi ricorda nulla?).
Ha infine citato Martin Buber, attivista sionista dei primi del ‘900 – anche se fu sionista sui generis perché critico nei confronti del nazionalismo ebraico, con cui però tenne sempre un approccio dialogante – attivista in Israele per promuovere un socialismo utopico nonché uno dei massimi esponenti del Chassidismo, ovvero il movimento di rinnovazione spirituale dell’ebraismo ortodosso basato sulla Cabala. Insomma un bel menu che lascia intravedere i pilastri su cui sarà basato il prossimo asse di governo.

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