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La via del colabrodo

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Dall’Afghanistan passando per l’Ucraina: ecco la nuova arteria del traffico di schiavi

Se pure la rotta marina dovesse chiudersi, le reti di trafficanti di uomini hanno già trovato una nuova via per portare in Europa i migranti. Dal Maghreb, ma anche dall’Afghanistan, sono sempre più le persone che cercano d’assaporare l’aria della Vecchia Europa passando per la Nuova. E un cancello semispalancato, descritto in un reportage pubblicato oggi dal quotidiano algerino El Khabar, lo trovano nell’Ucraina. Il paese ex sovietico, in piena crisi politica, rappresenta un’alternatva meno azzardata e pericolosa del ricorso alle “carrette del mare” per i giovani maghrebini, memori della scia di naufraghi e morti affogati che solca il Mediterraneo. Secondo El Khabar, le guardie di frontiera ucraine ogni settimana fermano decine di persone che cercano d’entrare nel paese clandestinamente. Non per restarvi, evidentemente. Come accade per l’energia e il metano, Kiev rappresenta una via di transito, non d’arrivo, per chi cerca di proseguire verso la vicina Unione europea. El Khabar ha inviato suoi giornalisti nei campi di raccolta ai punti di confine. A Chernigov, vicino alle frontiere con Russia e Bielorussia, un cronista del quotidiano algerino ha provato una “grande sorpresa” per la facilità con cui è facile entrare nel paese. “Gli agenti della dogana sono molto cordiali, ti fanno passare senza neanche chiedere i documenti”, scrive. E’ notevole anche il numero di persone che arrivano dalla cosiddetta area Af-Pak (Afghanistan-Pakistan), il vero e proprio buco nero d’instabilità in Asia centrale. Solo in un centro di raccolta, sempre vicino al confine con Russia e Bielorussia, il cronista ha rilevato la presenza di 98 persone provenienti da Afghanistan o Pakistan. Un aspetto, questo, che potrebbe preoccupare i paesi della regione e le loro centrali di sicurezza. La recente offensiva nella valle dello Swat, in Pakistan, ha infatti prodotto secondo diversi osservatori ripresi da Eurasianet, il giornale online legato all’Open Society di George Soros, l’effetto collaterale di rendere meno sicuro quel santuario per tanti combattenti che si trovavano nell’area. E quindi in tanti hanno deciso di spostarsi.

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