Mentre noi tremiamo di Covid, Chernobyl…
Risulta sempre più preoccupante la situazione degli incendi boschivi che, da oltre due settimane, stanno sconvolgendo le aree dell’Ucraina attorno al sito nucleare di Chernobyl, teatro del celebre disastro del 1986 e, da allora, fonte di preoccupazione per i rischi di una diffusione delle scorie radioattive legati a fenomeni esogeni. Dal 4 aprile scorso, infatti, una serie di incendi boschivi ha lambito la zona intorno all’impianto nucleare dismesso, facendo aumentare i timori di una massiccia diffusione di materiale radioattivo e contaminato nell’atmosfera e nei cieli d’Europa.
La matrice dei roghi è, secondo le prime indagini, di natura dolosa. O perlomeno così sembrano indicare le confessioni di un uomo di 27 anni arrestato dalla polizia ucraina che, stando ai rapporti di Reuters, avrebbe confessato di aver appiccato l’incendio ai boschi “per divertimento”. Ma l’ampiezza del fronte degli incendi e i nuovi sviluppi aprono anche a possibili concause.
Come sottolinea GreenMe, sito di approfondimento molto aggiornato sulle problematiche ambientali, al momento “tre sono le sorgenti degli incendi: una situata a circa 70 chilometri a ovest della centrale di Chernobyl e che si estende per 25 chilometri. Un’altra è in un’area a circa 30 chilometri a ovest del centrale di Chernobyl ai margini della zona di esclusione e altri due camini più piccoli si trovano nella zona di esclusione molto vicino alla centrale elettrica (a circa 2 chilometri)”.
Arsen Avakov, ministro dell’Interno del governo ucraino, ha riportato che uno di questi ultimi due focolai sarebbe stato localizzato e messo in sicurezza: centinaia di pompieri lavorano da giorni fino all’esaurimento fisico e mentale per contenere un possibile disastro ambientale. L’avvicinamento delle fiamme al deposito di scorie radioattive e alla centrale stessa ha fatto temere un nuovo disastro paragonabile al fallout del 1986, ma secondo studi del centro francese Irsn nelle due settimane di incendi una nube radioattiva si sarebbe già mossa verso l’Europa, facendo sentire i suoi effetti soprattutto nella capitale ucraina Kiev.
Gli uomini dei servizi antincendio combattono strenuamente. Nel frattempo cresce la conta dei danni al patrimonio umano e naturalistico dell’area. Diverse strutture alberghiere, impianti di accoglienza ai turisti e abitazioni sono andati distrutti. Al contempo, è stata messa a repentaglio la rinascita naturalistica che la regione di Chernobyl aveva conosciuto negli ultimi trentaquattro anni. In fiamme è andata larga parte della celebre Foresta rossa, che prende il nome dal colore di numerosi pini, abeti, pioppi e betulle che su un’area di 4,1 chilometri quadrati furono completamente investiti dal fallout dell’esplosione della centrale e si contaminarono, per poi morire, assumendo la caratteristica pigmentazione.
I vigili del fuoco ucraini hanno lavorato per spegnere due incendi nella zona intorno alla centrale nucleare di Chernobyl, che è stata evacuata a causa della contaminazione radioattiva dopo l’esplosione del 1986 ( AP Foto/Yaroslav Yemelianenko)
Nella pineta, colpita duramente, sopravvisse però una flora sufficiente a consentire, data la cessazione dell’attività umana nell’area, il graduale ritorno della natura. Alci, lupi, lontre, cinghiali, aquile, gufi e cicogne sono stati avvistati nell’area contaminata e poi gradualmente abbandonata dall’uomo: una “riconquista” di una natura devastata che ha il suo paragone solo nella zona demilitarizzata al confine tra le due Coree. Un patrimonio di biodiversità e un esempio di rinascita di un ecosistema che ora rischia di essere del tutto compromesso.
A Chernobyl gli incendi boschivi si dimostrano, una volta di più, un problema di matrice globale. Negli ultimi dodici mesi abbiamo assistito ai roghi in Amazzonia, alla devastazione dell’altro grande “polmone verde” del pianeta in Siberia, a un’analoga e spesso dimenticata tragedia in Indonesia e ai devastanti incendi australiani, in corso da giugno 2019 senza interruzione. Ora si aggiunge Chernobyl: nel contesto odierno, anche i roghi di origine dolosa rischiano di essere sempre più difficili da fronteggiare per l’indebolimento degli argini naturali, per la fragilità degli ecosistemi boschivi e per le innaturali condizioni di precipitazione e temperatura atmosferica legate al cambiamento climatico.
In Ucraina, il fallout radioattivo aggiunge un nuovo fattore di rischio: la resistenza dei pompieri ucraini è, in questo momento, una prima linea per l’intera Europa.