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Le destre virtuali

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Il teatrino per nascondere il disorientamento

I marxisti la definirebbero “crisi di non corrispondenza”. Ci riferiamo alle politiche di più o meno tutti gli schieramenti che si accapigliano in narrazioni del reale che con il reale non hanno più quasi nulla a che fare.
Il che si traduce nei teatrini con insulti annessi e connessi che fanno leva sulle isterie e sulle nevrosi pubbliche con il solo risultato di mettere in scena un infinito derby tra improponibili che in ogni caso non può approdare a nulla.
Al di sopra delle teste delle oche della politica, ma anche intorno e al di sotto di esse, le dinamiche, le leggi  storiche, i poteri reali, la rivoluzione tecnologica, disegnano ogni giorno di più un mondo che muta e prende nuove forme. Alla gente comune, logicamente prigioniera di un mentale datato, nessuno vuole offrire soluzioni futuribili, perché queste non tirano subito e non producono poltrone, fondi ed emolumenti. Nel derby dei capponi di Renzo, “destre” e “sinistre” si giocano le quote di rappresentatività della commedia umana: di politico nulla.

Due agglomerati di desperados
Vale per tutti, ma qui non ci soffermeremo sui globalisti, sui new global, sugli arcobaleni, sugli antifa 1, 2 e 3, sui partigiani di sei anni, sulle femmine che femmilinizzano ogni termine, si vogliono maschie, odiano i maschi, vogliono castrarli e poi li ricercano ove possibile in forma elementare, dandosi l’alibi del “ritardo culturale”. E nemmeno sui terroristi della pandemia e sugli spioni della pandemia. Troppo lontani, antropologicamente, da qualcosa di sensato per potersene occupare più di tanto.
Ci riferiamo ai populisti virtuali, più o meno murati vivi nel sovranismo; ci riferiamo alle destre virtuali che di reazionario hanno la mentalità incapacitante, la versione psicorigida della volgarità di massa, ma che, della Reazione, non hanno i parametri culturali, esistenziali e filosofici in quanto valorialmente sono formate da progressisti lenti e niente altro che questo.

Quel potenziale non curato
Le destre del populismo virtuale hanno disegnato un quadro astratto e sballato della realtà di oggi, in tutte le sue forme. Ma questo, dicevamo, lo hanno in comune con i tanto odiati dirimpettai: non li separano da questi delle visioni del mondo ma la positività o la negatività attribuita ai comuni costrutti erronei. C’è però di peggio: sbagliano costantemente nemico ed amico, sia nella gerarchia dei valori che nella lettura delle dinamiche, delle contrapposizioni e delle potenzialità.
Quindi 1) Il loro insieme concettuale è irreale e sballato. 2) Nelle scelte di amici e nemici sbagliano quasi tutto.
Non è poco, anzi!
Però antropologicamente e sociologicamente si trovano dalla parte migliore, o se vogliamo, non peggiore, e quindi andrebbero aiutate a cambiare per non sperperare il loro potenziale.

Perché altro che il teatrino non possono
Qui però subentra il terzo errore capitale del comune pensiero dei populisti virtuali.
Partendo dal concetto che tutto quanto accade è gestito da oligarchie sprezzanti e arroccate su se stesse, come pensano di uscirne le destre virtuali tutte, da quelle istituzionali a quelle radicali?
Con una jacquerie civica che dovrebbe condensare dal basso una maggioranza in grado di darsi la legge sempre dal basso (da cui il delirio della democrazia diretta). Per ottenere che cosa? Una maggioranza di voti che dovrebbe consentire di assumere dei poteri che sono travisati già dal punto di vista legale e che sono irrilevanti dal punto di vista del potere reale e, quindi, non lo possono intaccare, perché il potere si contrasta con rapporti di forza, quindi con potere autonomo o contropotere.
Si procede quindi a ondate in cui, regolarmente, una forza elettorale virtualmente populista (o scioccamente sovranista) ottiene improvvisi successi e, non sapendo come gestirli, va al mercato a ingaggiare trombati di forze politiche precedenti.
Cambia insomma soltanto la casacca dei soliti noti e cambiano slogan e toni con i quali ci si accapiglia sul mercato.
Ogni tanto si pesca qualche buon amministratore, molti dei quali di provenienza democristiana o socialista, e ci si fa forti di modelli che – come il Veneto – vanno comunque bene anche da soli.
Mentre si giocano le partite fondamentali per le sorti di tutti, qui in Italia a questo ci si limita e a questo si è ridotti.
Che sia sempre il teatrino delle buffonate è inevitabile. O meglio: lo sarà fino a quando qualcuno non si metterà a lavorare sul serio, partendo dal principio, come diceva Agatha Christie.
Dal principio in tutti i sensi.
Domani non sarà ancora la vigilia di quel giorno.

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