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Le due culture di potere

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Nel 1988 mi trovavo a Pistoia per recitare, in una tournèe che toccava le maggiori città italiane, il capolavoro di D’Annunzio “La Città Morta”, con la direzione del più geniale regista italiano del dopoguerra: Aldo Trionfo.
Fui invitato, insieme ai miei eccellenti colleghi Alida Valli, Giulio Brogi, Raffaella Azim e Antonietta Carbonetti , a presenziare la consegna del Premio “Vallecorsi”, per giovani autori teatrali, nelle officine della Breda Ferroviaria che nella città toscana hanno sede….

A pranzo chiesi notizia al gentilissimo general manager della Breda (di cui purtroppo non ricordo il nome) e squisito nostro anfitrione, di un certo treno chiamato “Pendolino” di cui, all’inizio degli anni settanta, avevo letto le innovative tecnologie in un articolo del “Corriere della Sera” che informava anche essere stato, detto treno, messo in prova sulla linea Roma- Ancona proprio perchè, piena di curve, poteva costituire un efficace test sull’efficienza del nuovo gioiello della tecnologia italiana: di questo treno non avevo più sentito, in seguito, parlare.
Quel simpatico signore mi disse:”Vede, caro Reggiani, noi (la Breda) e la Fiat sapevamo già dalla fine degli anni sessanta che in Europa si stava pensando allo sviluppo dell’alta velocità ferroviaria come mezzo principe per offrire un’alternativa più veloce ed ecologica al trasporto su gomma e che avrebbe inoltre permesso di alleggerire l’intensità del traffico su strade ed autostrade.
Ma mentre i francesi ed i giapponesi si concentravano su treni che avevano bisogno di nuove linee costruite per la bisogna, noi italiani, più geniali, avevamo concepito un treno che potesse andare, per merito di un carrello ad assetto variabile, più veloce di circa il venti per cento, rispetto gli altri convogli, anche sulle linee già esistenti: ciò significa che se un treno copre un percorso in quattro ore il Pendolino poteva effettuare la stessa tratta in tre ore ed un quarto offrendo da subito un miglior servizio ai viaggiatori.
Purtroppo, però, in Italia la cultura politica imperante è quella che io definisco (è sempre il manager che parla) “arabo-borbonico-papalino-spagnolesco-mediterranea”, per la quale chi è al potere elargisce favori a sudditi che, grati, “baciano le mani” confermando, con ciò, il potere di chi è al potere.
Per un esponente di tale cultura di potere, un treno tra Milano e Palermo, sulla carta, c’è: che
poi questo treno possa portare tremila persone quando invece la richiesta da soddisfare è di cinquemila, che copra la tratta in venticinque ore quando ci sarebbe la possibilità di compiere il percorso in dodici, che le toilettes non funzionino e che non abbia un servizio di ristoro nemmeno all’altezza di una mensa per poveri, per tale signore queste cose costituiscono particolari di secondaria importanza: non stiamo a sottilizzare.
Questa è la ragione, continuava il gentile manager, per cui, pur avendo offerto su un piatto d’argento il Pendolino alle Ferrovie dello Stato, in modo che si potessero porre all’avanguardia in Europa, il treno, dopo i collaudi sulla linea Roma- Ancona, è stato messo in un deposito ad ammuffire: lo tireranno fuori per i campionati mondiali di calcio del novanta tanto per far vedere che anche in Italia abbiamo fatto qualcosa in proposito.
Nel frattempo, però, a distanza di quasi vent’anni, siamo stati sopravanzati dai francesi e dai giapponesi.
Il danno è stato enorme per l’economia e l’occupazione italiana perchè quando cercavamo di vende

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