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L’Eliseo prova la carta della finanza onirica?

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Per fronteggiare Covid e post-Covid

Il ministro del Bilancio francese, il giovane Gérald Darmanin,  ex “enfant prodige” del sarkozismo, l’ha spiegato con un’immagine semplice ad uso del popolo televisivo (che qui, come in Italia, passa le giornate incollato al video a seguire i tanti “Speciali Coronavirus” che hanno contagiato tutte le reti al punto che gli psicologi parlano di “Coronaddiction”): “Quando si spegne un incendio – ha detto – non si sta certo a guardare quanta acqua si consuma”.
Giustissimo. E infatti nessuno, in queste settimane in cui si fa il conto dei contagiati (tanti), dei ricoverati in terapia intensiva e dei morti (ancora tanti e soprattutto nelle case di riposo che qui accolgono una percentuale di anziani almeno doppia, circa il 20% sulla popolazione complessiva, rispetto all’Italia), nessuno è talmente puntiglioso da tenere la contabilità dei miliardi che lo Stato ha promesso e annunciato come unica concreta terapia per fermare il vero incendio che rischia di mandare in fumo una delle più grandi economie dell’eurozona (il discorso vale per tutti pur con qualche differenza vedi la Germania con poderosi attivi di bilancio).
Subito venti miliardi di euro per pagare la cassa integrazione (chomage partiel) a più di due milioni di lavoratori di 220mila aziende (al primo posto quelle del settore auto che hanno sigillato gli impianti). Poi altri otto miliardi per pagare la disoccupazione e sostenere le piccole e piccolissime imprese (spesso con un solo dipendente) che non possono accedere al Pôle Emploi così come non possono accedervi badanti, colf, “aide-soignante”, cioè quell’ esercito di lavoratori domestici che aiuta le famiglie (quello che fanno i nonni da noi). Ancora 300miliardi di garanzie pubbliche a favore delle aziende di taglia superiore che non possono morire strangolate per mancanza di liquidità e debbono quindi ricorrere al credito bancario.
Basterà questa valanga di risorse pubbliche unita al rinvio se non alla cancellazione degli impegni fiscali e contributivi (proprio questo mese, dal 20 aprile, comincia la stagione della dichiarazione fiscale che si concluderà a luglio), a contenere la caduta del Pil che rischia di toccare il fondo, -6% per due mesi di chiusura di quasi tutte le attività produttive pari a una perdita secca di 150 miliardi di euro?
Certo, nessuno al momento ha controllato il contatore dell’acqua, l’erogatore di risorse pubbliche apparentemente senza fine, ma qualcuno prima o poi dovrà porsi il problema di chi pagherà la fattura di questa provvidenziale erogazione.

Il ministro dell’economia, Bruno Le Maire, ha provato a rassicurare: la Francia è un Paese ricco, ha detto in diverse interviste in tv e sui grandi quotidiani, con un “patrimonio netto” (sommando attivi immobiliari, partecipazioni azionarie, risparmi e asset vari) pari a 15.482 miliardi (dati dell’Insee, l’Istat francese).
Che cosa volete che siano – ecco il senso del suo messaggio – 500 miliardi di euro, ammesso che sia questa la somma finale che sarà impegnata per mettere in sicurezza economica il Paese e permettergli di ripartire (magari nazionalizzando qualche “fleuron”, come vengono definiti, qualche campione nazionale per metterlo al sicuro dalla speculazione internazionale)?
Sarà sicuramente così, anche se qualche economista sta cominciando a suonare il campanello d’allarme per mettere in guardia i francesi e ricordargli che l’economia, anche ai tempi del Coronavirus (ma soprattutto ai tempi che verranno dopo, alla fine dell’epidemia), non è “il mondo dei Bisounours” (cioè degli orsacchiotti di peluche, come si dice qui).
Prima o poi bisognerà risvegliarsi lasciando al mondo dei sogni, il mondo dei Bisounours, vale a dire l’idea (comoda e consolante) che uno Stato ricco e generoso pagherà tutto e non ci perderà nessuno. Né i lavoratori né le aziende. Né, figurarsi, i dipendenti pubblici (tra parentesi, la Cgt, la Cgil francese, ha proclamato uno sciopero di tutto il settore pubblico per la fine del mese).

Jean-Marc Vittori, editorialista principe di Les Echos, ha trovato un’espressione molto suggestiva per definire questo stato di sonnambulismo economico: la Francia, ha scritto il 31 marzo scorso, è come un “Pays anesthésié” che vive queste giornate, tra contabilità epidemica e annunci presidenzial-ministeriali, “en plein onirisme budgétaire”.
Bisogna riconoscere che questa “finanza onirica” va ben oltre la “finanza creativa” a cui, ai suoi tempi, ci aveva introdotto il nostro (ex) ministro Giulio Tremonti riuscendo a mettere a bilancio (nella colonna degli attivi) il patrimonio immobiliare dello Stato prima ancora di essere stato realmente alienato.
“Il risveglio sarà durissimo” avverte l’editorialista di Les Echos perché nel mondo reale non c’è una Banca centrale “imaginative” (il riferimento è alla Bce che ha annunciato un Qe monstre da quasi mille miliardi di euro) che stampa soldi all’infinito (il problema dell’inflazione è naturalmente rinviato), mentre, nel mondo reale, il denaro arriva solo dalla ricchezza prodotta. Se no, per dirla con un’espressione molto comune tra gli economisti francesi, “si toglie a Pietro per dare a Paolo”.
Inutile dire che un Pietro da spogliare s’è già trovato. Si tratta degli azionisti delle società quotate ai quali il governo vorrebbe negare lo stacco delle cedole cioè il pagamento dei dividendi 2019 che, sommati, fanno 53miliardi di euro – una bella somma visto che il 2019 è stato un “bon millésime, una buona annata – in nome di una malintesa solidarietà visto che il pagamento delle cedole equivale all’immissione di liquidità nel sistema economico. Anche questi sono litri d’acqua utili a spegnere l’incendio economico da Covid-19.

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