Un’altra risposta allo sciacallaggio idiota e menzognero de La Stampa
Fallito il tentativo di offensiva istituzionale appresso ai santorismi vari, ci si poteva aspettare che una qualche vampata di polemica politica entrasse nelle opere di soccorso ai terremotati abruzzesi. E la polemica difatti è arrivata, entrando da una porticina solo apparentemente secondaria, e vedremo il perché.
La Stampa di ieri offriva questo titolo: “No ai volontari in camicia nera”. Avvertenza per i lettori che non hanno letto di prima mano l’articolo: non si tratta di un pezzo sull’arruolamento nella campagna di Etiopia, nella divisione Littorio durante la guerra civile spagnola o nelle file dei cristiano-maroniti al tempo del conflitto libanese, ma di un reportage da Poggio Picenze, paese abruzzese dove i ragazzi di Casa Pound, centro sociale romano “di destra”, hanno piantato le tende per portare aiuti alla popolazione. La destra radicale che fa volontariato appare un controsenso agli occhi del cronista, direbbe il Blasco che «non sta bene non si fa», si esce troppo dal seminato degli stereotipi, e allora bisogna darsi da fare per trovare qualche indignato a puntino del fatto che «militanti in giacca nera» raccolgano e distribuiscano pannolini, cibo e vestiti. Così, fermandosi al titolo, per un brutto gioco ideologico, sembra quasi che se da destra si fa operosità sociale, gli aiuti si trasformano crudelmente nella loro degenerazione, il pane diventa pane nero, il caffè diventa ciofeca, i giocattoli manganelli, le tende alcove, il cioccolato un surrogato autarchico, i vestiti di cotone si fanno di ortica o canna, le razioni prendono la forma di tessere annonarie.
Dal tono del pezzo pare che ci sia un paese in rivolta, o perlomeno a disagio, abbarbicato sullo steccato del conflitto politico per una presenza politicamente poco gradita. Ma sentite cosa dice il vicesindaco di Poggio Picenze, Angelo Taffo, esponente di una lista civica dove convivono centrodestra e centrosinistra, quando gli mostri il servizio: casca dalle nuvole per un racconto «totalmente falso». È tutto l’opposto, dice lui: «I paesani sono tutti entusiasti del lavoro di questi ragazzi, davvero encomiabile, non solo qui ma anche negli altri punti di smistamento che gestiscono. Loro stessi hanno raccolto una quantità enorme di aiuti, e tengono una precisa contabilità dei rifornimenti che aiuta a prevenire i pochi “furbi”. Io non sapevo neanche cosa fosse Casa Pound, sono arrivati e non hanno mai smesso di lavorare. Altro che criticarli, ci sarebbe da dargli la cittadinanza onoraria… ».
Dunque, conviene chiudere qui una questione che odora di frusti retropensieri. È che la porticina della querelle paraideologica si spalanca su un’altra verità. I racconti politicamente unilaterali dell’Italia buona, giusta e tanto progressista, della sola sinistra giovanile e sindacale che si mobilita per la solidarietà, nello stile dell’epopea dell’alluvione fiorentina secondo Marco Tullio Giordana, in Abruzzo non funzionano più, perché tagliano fuori una parte della storia, perché dimenticano una parte preziosa della meglio gioventù che si è rimboccata le maniche tra i detriti, lavorando col sorriso a bocca chiusa, senza cercare la facile pubblicità delle sale stampa.
Dei centri sociali “non conformi” romani, che hanno popolato la Capitale di punti di raccolta col tricolore, c’è anche il Foro 753. Ma al di là di qualche sigla eclatante da sfruttare, per titolo a effetto sghembo, c’è un fenomeno più vasto e più profondo, silenziosamente profondo, di associazionismo e volontariato che nasce a destra ma non porta insegne di partito o militanza. Questo ambiente umano si è mobilitato con una forza inedita che supera di molto per intensità le memorie passate dei camion partiti venti anni fa o poco meno alla volta di Timisoara o della Croazia. Si sono mossi il MoDaVi, Soccorso Sociale e altre associazioni. I volontari sono arrivati immediatamente da tutta Italia, a decine e poi a centinaia, al servizio di un’opera comune, in raccordo con la Protezione civile e la Croce Rossa, e sono stati capaci di raggiungere in un territorio così vasto anche le frazioni più sperdute e i nuclei familiari più isolati nel loro attaccamento alle radici di una vita. Luca Panariello di Perigeo, una solida esperienza nello tsunami thailandese, elenca 230mila litri d’acqua, 50 tonnellate di generi alimentari e prodotti per l’igiene raccolti davanti al Gran Teatro di Roma e portati fin su a San Demetrio, Paganica o Luccoli, cita il protocollo d’intesa siglato col sindaco piddino di Alba Adriatica per rifornire 6.000 sfollati. Emerge un’agilità decisionale che consente di fare un passo più in avanti rispetto alle grandi organizzazioni. Lo racconta, superando un comprensibile pudore, un giovane esponente del Pdl aquilano, Salvatore Santangelo. Punto di raccordo dei volontari sin dalla mattina della tragedia, ha perso la casa, non la passione civile: «Un evento traumatico come un terremoto spezza vita, distrugge esistenze. In compenso ho assistito a uno sprigionamento inconsueto di energie, alla mobilitazione di centinaia di giovanissimi che ci stanno dando una mano incredibile. Adesso sta a noi la sfida di ricostruire riunendo le nuove tecnologie e la nuova urbanistica, come chiede giustamente Berlusconi, con la dimensione identitaria del popolo abruzzese, l’unico tesoro che il terremoto ha lasciato intatto». In assenza di retoriche, agli antipodi delle solidarietà scagliate comodamente a migliaia di chilometri di distanza, questa storia andava raccontata. Solo per un attimo, però. Adesso lasciateli stare, non puntate teleobiettivi e microfoni, sono tornati a lavorare.