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L’esperienza non insegna niente

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A cinquant’anni dlla guerra del Kippur le false aspettative di allora si ripetono in mega farsa

Nel 1973, quando ci fu la Guerra del Kippur, avevo 19 anni.
Quel conflitto portò al serrate dei Paesi Opec che fecero levitare i prezzi del petrolio.
Ne susseguirono il caro-vita, l’austerità, il blocco alterno del traffico, un coprifuoco di fatto alle 23 e un intristimento generale che fu talmente invasivo da produrre una vera e propria idiovariazione nella gente. Chi osservi i filmati di trasmissioni precedenti e immediatamente successive a quello spartiacque non può non notare come siano cambiate le fisionomie e come siano diventati opachi gli sguardi.

All’epoca io ero contento, anche se i prezzi, quadruplicati, ci resero proibitivi perfino i volantini stampati in proprio. Ero contento perché, ufficialmente, quella svolta serviva a colpire gli Usa ed Israele e a sostenere l’Egitto che aveva posizioni interessantissime ed era guidato da nostri veri alleati fin dal tempo della guerra.
Pensavo anche che la crisi avrebbe messo in pericolo il sistema italiano e i suoi papponi antifascisti.
Ma mi sbagliavo.

Mi sbagliavo perché i produttori di petrolio non stavano affatto sostenendo l’Egitto come pretendevano, ma gonfiando le loro casse. Perché gli americani che avevano abolito la conversione in oro del Dollaro, fecero affari d’oro con i “Petrodollari”. I produttori di petrolio divennero competitori se non antagonisti dell’Egitto e gettarono le basi per il potere wahhabita e il terrorismo che ne sarebbe seguito. La causa panaraba, che sembrava dover essere favorita dagli eventi, ne venne praticamente uccisa.

In Italia si chiusero di fatto la politica patecipata e la gioia movimentista. Partì la lotta armata che non intaccò minimamente il sistema politico ma lo rafforzò, accelerando il passaggio ad un totalitarismo funzionario, all’avvento di leggi e poteri speciali, tra l’altro con la partecipazione attiva dei comunisti, spianò la strada alla privatizzazione della Banca d’Italia e alla svendita degli asset e avviò la chiusura della linea pro araba che ci aveva resi relativamente indipendenti.

In poche parole gli effetti della crisi del petrolio furono opposti a quelli proclamati da chi la produsse e dalle aspettative mie e di tutti coloro che si credevano rivoluzionari.
Eppure allora esisteva un fronte di paesi non allineati: in Egitto c’era Nasser e in Argentina era appena ritornato Perón. Ciononostante il sistema oligarchico e il potere americano ne uscirono vincenti e proprio la causa dell’autodeterminazione dei popoli ne fu vittima.

La storia si ripete dalla tragedia in farsa, anzi, forse anche in peggio.
Cinquant’anni dopo leggo proclami di nazional/terzomondisti fuori tempo massimo che sognano che dai golpe nel Sahel venga la fine del sistema dominante. Oggi, poi, che non esiste alcun fronte dei non allineati, né alcun leader! Comunque non leader comparabili a Nasser e Perón, non leader che non siano soprattutto se non soltanto lader.
Nulla di più sciocco. Ci sono rischi gravissimi per il futuro dei nostri popoli, ma non per la tenuta di un sistema interdipendente, oligarchico e gangsteristico.
Non saranno i ladroni della Wagner e i loro complici nel Sahel a mettere a rischio il latrocinio: si sono soltanto inseriti nelle spartizioni del bottino e lo sottraggono non agli americani ma a noi.
Non rischiano nulla il capitalismo o gli americani ma, ora come allora, soltanto l’Europa.
Non la Ue: l’Europa nel suo insieme, in particolare i nostri figli e nipoti.

Come diceva Sua Eccellenza, l’esperienza non serve perché, per farla, tocca sbagliare personalmente e nessuno ascolta chi l’ha fatta. Peraltro ho notato che parecchi che hanno vissuto i miei stessi anni, pur di proteggere le proprie illusioni astratte e delegate, e quindi le proprie stampelle, non hanno capito, o voluto capire, proprio nulla.
E nessuno vede peggio di chi non ha alcuna intenzione di vedere.

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