domenica 1 Settembre 2024

Li vogliamo torturare ?

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Così sarebbero nate le sevizie nei carceri iracheni, per divertimento. Si apre il processo contro gli aguzzini: Lynddie England , la soldatessa delle foto di torture ha 21 anni ed è incinta. In teoria
rischia 38 anni di carcere

I suoi avvocati: ad Abu Ghraib agì per ordini superiori. Ma il primo testimone: quelle foto erano un divertimento


Non porta la mimetica da deserto che aveva nelle foto, quando teneva al guinzaglio un prigioniero nudo ad Abu Ghraib. Non sorride come faceva davanti alla fotocamera digitale, mano «a pistola» verso i genitali dei detenuti. Un’altra Lynddie England è apparsa ieri di fronte a un tribunale militare di Fort Bragg, Nord Carolina. Divisa verde scuro, basco nero, il pancione di chi è incinta di sette mesi.
Più piccola dei suoi 158 centimetri, più silenziosa di quando, a maggio, dava interviste tv e giurava agli investigatori di aver agito per ordine dei superiori, «trascinando iracheni al guinzaglio per sei ore di seguito», «camminandoci» sopra ma senza far nulla di «estremo». Ieri ha pronunciato due parole, «No, madam», quando la presidente della corte, colonnello Denise Arn, le ha chiesto se voleva dire qualcosa prima della lettura dei 19 capi di imputazione. «No, signora». Non ancora. Era il primo giorno dell’«articolo 32», il grand jury chiamato a decidere se «la ragazza del guinzaglio» che sognava di fare la meteorologa finirà davanti alla Corte Marziale. Se potrà essere condannata a 38 anni di carcere.


Lynddie, 21 anni, è una dei sette riservisti incriminati per le torture ad Abu Ghraib. Cinque, tra cui il padre di suo figlio, caporale Charles Graner, aspettano la Corte Marziale in Iraq. Uno, Jeremy Sivits, reo-confesso, sconta un anno di carcere. Alla sentenza, il 19 maggio a Bagdad, ha pianto: «Chiedo scusa al popolo iracheno». Lynddie non si scusa. I suoi avvocati ripetono che ha eseguito gli ordini. I suoi cento commilitoni, i riservisti della 372ma Compagnia di Polizia Militare, sono tornati a casa l’altro giorno, dopo un anno e mezzo di Iraq. Una cerimonia privata alla base di Petersburg, le famiglie, la banda, il comandante Donald Reese (il generale Taguba lo ha fatto nero nel suo rapporto) che traccia un bilancio positivo, dicendo che i suoi ragazzi hanno fatto un sacco di «cose molto, molto buone».
Non è chiaro se Reese sfilerà tra i 25 testimoni che l’accusa vuole citare contro il soldato England. Il primo ha parlato ieri: Paul Arthur, investigatore dell’esercito ad Abu Ghraib, ha raccontato della notte del 13 gennaio, tre mesi prima che esplodesse lo scandalo, quando il soldato Joseph Darby bussò alla sua porta con un Cd pieno di foto, «quelle foto». «Andai subito a svegliare la England e i suoi compagni per interrogarli». Cosa le disse Lyddie? «Che avevano scattato quelle foto tanto per divertirsi un po’».
Nessuno gli parlò di ordini superiori. Ne parla, a suo modo, il generale Janis Karpinski, estromessa comandante delle prigioni irachene. Alla Bbc ha raccontato che ci fu un complotto per tenerla all’oscuro degli abusi. «Gente in alto che sapeva». Quanto in alto? Pentagono, Casa Bianca? Ha risposto: «E’ possibile».

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