Marcegaglia e Montezemolo polemici con la Lega guardano ad est
Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria e sostenitrice del più sfrenato liberismo, afferma che l’attuale Governo si pone in contrasto con il mercato. Luca Cordero di Montezemolo, predecessore della Marcegaglia attacca la Lega Nord sulle stesse tesi del presidente degli industriali. La replica leghista non è tardata ad arrivare. Da parte sua, il sottosegretario Castelli ha risposto alle critiche di Montezemolo evidenziando come queste siano motivate dal fatto che l’ex amministratore Fiat con questo Governo non fa gli affari che fece con Romano Prodi e compagni. La diatriba investe una questione centrale in questa epoca di crisi economica. L’espressione «un Governo contro il mercato » riguarda il dualismo tra Stato e mercato.
Un dualismo già oltrepassato se si considera che i più accesi sostenitori del mercatismo hanno anche ideato la finanziarizzazione dell’economia.
Montezemolo è stato, assieme a Ciampi e Prodi, il più grande sostenitore della politica delle delocalizzazioni delle aziende verso la Cina. Come non ricordare i loro viaggi in Cina, e la propaganda di come il trasferimento della produzione dall’Italia al giallo impero sarebbe stata un’occasione per la nostra economia. Con linguaggi da docenti universitari, tramite astruse teorie, questi tre riponevano grande fiducia nell’apertura di aziende o filiali di aziende in Cina. Ciò è avvenuto per il settore tessile e con tragici risvolti occupazionali. Il mercato è slegato da qualunque concetto superiore, spurio di qualunque legame con la propria comunità, con il proprio territorio.
L’economia per Montezemolo, è il fatturato annuale della Ferrari. Per Marchionne, quello della Fiat. Numeri puri. Poco importa cosa ci sia dietro quei numeri. Che cosa cambia se la Fiat produce in Italia o in Polonia? Dal punto di vista di una politica dei valori, si tratta di un colpo non da poco all’occupazione in Italia. Per una politica alla Montezemolo, un’occasione per produrre più auto a meno costo; e fatturare di più. Il caso dello stabilimento Fiat di Pomigliano è un precedente pericoloso. Esempi che permettono di comprendere le parti della diatriba. Opponendosi alle delocalizzazioni, la Lega è sempre stata vista da certi potentati economici (di cui Montezemolo è un autorevole rappresentante) come una forza che si oppone alla globalizzazione mercatista.
La differenza nei fatti si nota quando nel decreto anti-crisi, Cota inserì il requisito del mantenimento della produzione sul territorio nazionale come necessario per usufruire degli incentivi di Stato, e quando lo stesso governatore piemontese mise 300 milioni di euro sul tavolo per favorire la produzione sul territorio.
A questo, Montezemolo e la Marcegaglia, non risposero con un plauso, ma con un auspicio di maggiore competitività del nostro sistema economico. Mentre la politica leghista vuole quindi rilocalizzare la produzione in un sistema economico chiuso, dall’altra parte Montezemolo vede la soluzione nella modifica degli standard di produzione al ribasso, più vicina dunque al modello cinese piuttosto che a quello tedesco.
Ci sono poi le posizioni di Umberto Bossi che dopo le elezioni aveva detto: « dateci le banche del Nord », esattamente come Flavio Tosi e Luca Zaia avevano auspicato un intervento della politica italiana per fermare la scalata libica di Unicredit. Se questo è lo scenario politico ben più profonda e complessa appare la discussione su cosa debba prevalere tra Stato e mercato.
La funzione dello Stato è quella di essere un assoluto. Uno Stato ha l’esclusiva potestà d’imperio sul territorio, e questo è scritto su qualunque manuale di diritto o di scienza politica. Per cui lo Stato per definizione può governare anche il mercato, soprattutto quando questo naviga contro gli interessi della Nazione. In un’epoca in cui è in corso una preoccupante delocalizzazione della produzione, è compito di uno Stato garantire un dignitoso livello di occupazione. Non è quindi lo Stato a dover scendere alle dinamiche di mercato ma anzi deve intervenire nel momento in cui una dinamica di mercato (come è quella della delocalizzazione) mette a rischio la pace sociale creando disoccupazione e abbassando gli standard lavorativi in termini di diritti.
Giulio Tremonti ha parlato della necessità di regole nel mercato, riferendosi al fallimento di uno dei tanti ismi che fanno di un sostantivo un dogma assoluto: il mercatismo. Criticare un governo perché contrario al mercato, significa essere sostenitore di quelle teorie economiche che hanno portato alla crisi americana e quindi mondiale. Il primato dell’azione politica sull’economia selvaggia deve quindi ripartire da: una rilocalizzazione della produzione, regole al mercato, subordinare l’economia ai valori.