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L’Iraq del dopo disintegrazione

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Baghdad verso la Russia dopo aver affidato molte commesse a Cina, Corea e Giappone

 

Un anno dopo il ritiro delle ultime truppe statunitensi dall’Iraq i rapporti militari tra Washington e Baghdad si fanno sempre più tenui a vantaggio di Mosca che punta a tornare a ricoprire il ruolo di principale fornitore di equipaggiamento militare alle forze armate irachene, primato che deteneva saldamente ai tempi di Saddam Hussein. Molti elementi hanno contribuito a ridurre il peso di Washington nel futuro strategico dell’Iraq.
Innanzitutto il crescente disinteresse dell’amministrazione Obama che ha ridotto gli organici della gigantesca ambasciata a Baghdad, la più grande e protetta mai costruita dagli Stati Uniti. La decisione del parlamento di Baghdad di non rinnovare l’immunità giudiziaria ai consiglieri militari che Stati Uniti e Nato avevano pianificato di mantenere ancora per molti anni in Iraq, ha portato al rapido abbandono di molti programmi di assistenza e al rimpatrio di migliaia di istruttori militari e contractors.
Una scelta politica sostenuta dai partiti sciiti che sostengono il governo di Nouri al Maliki fortemente criticata dai vertici militari iracheni che l’anno scorso sottolinearono con forza la necessità di disporre ancora per almeno dieci anni del supporto statunitense per colmare le carenze delle forze armate locali, istituite nel 2004 come forza contro-guerriglia e anti-terrorismo e impiegate nel conflitto anti-insurrezionale che, secondo il ministro per i diritti umani Mohammad Shiyaa al Sudani, ha provocato dalla caduta di Saddam Hussein oltre 70.000 morti, 15.000 scomparsi e 250.000 feriti con menomazioni permanenti. Le forze di Baghdad hanno però scarse capacità di combattere guerre convenzionali e difendere il territorio nazionale da aggressioni esterne poiché hanno pochi carri armati, non hanno una difesa aerea e non dispongono di artiglieria, né di jet da combattimento né di un sistema radar e missilistico antiaereo e hanno una forza navale limitata a pochi pattugliatori disarmati.
Ad aumentare i dissidi con Washington ha poi contribuito il conflitto siriano rispetto ala quale Baghdad è ufficialmente neutrale anche se il governo di al-Maliki è stato accusato da Washington di consentire il passaggio di velivoli iraniani diretti a Damasco carichi di armi e pasdaran inviati in aiuto al regime di Bashar Assad. La crisi siriana ha accentuato anche la già drammatica frattura tra sciti e sunniti: i primi vicini agli alauiti siriani e i secondi in prima linea a fornire aiuti e combattenti alle milizie che combattono i lealisti. Un contesto che sta favorendo l’avvicinamento di Baghdad a Mosca anche per rafforzarsi sul piano militare come ha confermato la recente visita in Russia di al-Maliki nella quale si è discusso soprattutto di concessioni petrolifere alla società russa Rosneft e di forniture militari nei colloqui con il premier Dmitri Medvedev e il presidente Vladimir Putin. Maliki non h perso l’occasione per ribadire l’indipendenza del suo Paese dagli Stati Uniti in termini di forniture militari. “Per quanto riguarda le gli acquisti di armi – ha detto – noi non chiediamo consigli preventivi a nessuno. Non intendiamo giocare il ruolo dei monopolizzati dagli interessi di qualcuno”. Il governo iracheno ha più volte rimproverato gli Stati Uniti di non aver voluto fornire armamento pesante per il quale sta ora rivolgendosi ai russi. I contratti firmati negli ultimi mesi con Rosoboronexport (società pubblica russa che cura l’export militare) dal ministero della Difesa iracheno hanno un valore di 4,3 miliardi di dollari e riguardano 30 elicotteri da combattimento Mi-28 e 42 batterie missilistiche mobili terra-aria Pantsir-S1.
Forniture che includono supporto logistico e addestramento del personale iracheno e coprono due settori lasciati sguarniti dalle forniture di Washington per oltre 10 miliardi di dollari che includono anche carri armati Abrams e 18 jet F-16 con un’opzione per altrettanti esemplari. Con il contratto firmato a Mosca i russi balzano quindi al secondo posto nella lista dei fornitori di armi all’Iraq (della quale fa parte anche Ucraina, Bielorussia, Polonia e Italia con quattro navi pattuglia costruite da Fincantieri per 80 milioni di euro) ma secondo il quotidiano Vedomosti ci sono in ballo nuove forniture per ingenti quantitativi di mezzi blindati e alcune decine di cacciabombardieri Mig 29. L’acquisizione di jet russi metterebbe in forse la prosecuzione del programma per i caccia americani F-16 o quanto meno indurrebbe Baghdad a rinunciare all’opzione per la seconda tranche da 18 velivoli. Una linea di jet da combattimento composta da due tipi di velivoli diversi e di diversa provenienza gonfierebbe in modo ingiustificato i costi logistici dell’aeronautica irachena anche se i proventi petroliferi consentono oggi a Baghdad di disporre di crescenti risorse anche per potenziare l’apparato militare.
Le esportazioni di greggio iracheno supereranno in ottobre i 2,8 milioni di barili al giorno contro i 2,6 milioni di settembre che già rappresentavano un record rispetto agli ultimi 30 anni con stime che prevedono una produzione più che raddoppiata per il 2020 con 6,1 milioni di barili al giorno. Per Mosca le commesse militari all’Iraq rappresentano un ulteriore passo verso il ripristino di un mercato tradizionalmente ricco per le armi “made in Russia” in un’area che vede i russi principali fornitori alle forze armate di Iran e Siria. L’incremento dell’export militare e dell’influenza russa a Baghdad in seguito al ritiro statunitense potrebbe trasformarsi in tendenza coinvolgendo anche altre aree e mercati dai quali Washington sta rapidamente sganciandosi. E’ il caso delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale dove Mosca ha recentemente rinnovato gli accordi per mantenervi una consistente presenza militare, e dell’Afghanistan che a Mosca ha commissionato la fornitura di oltre 70 elicotteri negoziando un programma di cooperazione militare da sviluppare dopo il ritiro della Nato previsto per il 2014.

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