Quel Trattato del Quirinale che tanto spaventa gli imbecilli
Un gigante tra il Sahel e il Mediterraneo. Un Paese silenzioso, coinvolto in modo più o meno diretto nei destini non solo del Nord Africa ma anche dei suoi vicini europei. Una delle tante chiavi che aiutano a comprendere quel microcosmo del Mediterraneo allargato, sempre più denso di crisi e opportunità crocevia di interessi strategici che coinvolgono potenze regionali e mondiali. E che riguardano anche (se non soprattutto) l’Italia: Paese che con l’Algeria ha rapporti di fondamentale importanza, a partire da quello che è considerato a tutti gli effetti uno dei nuovi “ori” del nostro tempo, il gas.
L’Algeria, il gas e la ZEE
Negli ultimi anni , i rapporti tra Algeria e Italia sono stati caratterizzati da due questioni di interesse primario per l’agenda di Roma. Il primo, come detto in precedenza, è stato il fattore energetico. Come spiega la piattaforma Infomercatiesteri, “nel 2020 il valore dell’interscambio Italia-Algeria è stato pari a 5,83 miliardi di euro, di cui 3,14 miliardi (-27,6%) le nostre importazioni e 1,94 miliardi le nostre esportazioni (-33,5%). Il gas costituisce la quasi totalità delle nostre importazioni”. Questo fa capire perfettamente l’importanza delle relazioni italo-algerine, dimostrate anche dal fatto che il Paese nordafricano rappresenta il secondo partner italiano sul fronte del gas naturale subito dopo la Russia. Un fattore da tenere particolarmente in considerazione soprattutto alla luce di una crisi energetica globale che riguarda non solo i prezzi degli idrocarburi, ma anche le tensioni nelle regioni che lo producono e attraverso cui scorrono le principali rotte per il suo trasporto.
Per il Paese nordafricano, poi, il tema diventa essenziale anche alla luce di quanto successo in questi mesi con le tensioni con il Marocco. Alla fine di ottobre, l’Algeria, a causa dei rapporti sempre più ostili con il Marocco, ha interrotto la fornitura di gas alla Spagna attraverso il gasdotto Maghreb-Europa, la cui rotta passa attraverso il territorio marocchino. Algeri ha spostato così la fornitura a Madrid attraverso Medgas, che non passa per il Marocco. Ma le implicazioni sul fronte delle riserve energetiche spagnole, delle forniture di gas durante la stagione invernale e i rincari sono evidenti. Gli esperti hanno immediatamente smentito ipotesi di blackout a causa del blocco della fornitura attraverso il gasdotto marocchino, anche perché la Spagna riesce comunque a supplire a questa interruzione. Tuttavia è chiaro che se le implicazioni di queste tensioni sono state così repentine per Madrid, questo fa riflettere anche sui rischi per un Paese ancora più dipendente dall’esterno come l’Italia. E che proprio per questo ha con l’Algeria rapporti solidi e rafforzati nel corso degli anni, il cui valore è stato ribadito anche dalla recente visita del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Al fattore energetico, si è aggiunto in questi anni anche un altro elemento molto importanti negli equilibri del Mediterraneo e dei rapporti italo-algerini: la zona economica esclusiva.
La delimitazione di una zona economica esclusiva (ZEE) è diventata nel corso degli ultimi anni uno degli elementi che hanno contraddistinto la geopolitica mediterranea. Ne è un esempio la questione tra Grecia, Cipro e Turchia per quanto riguarda l’Egeo e il Mediterraneo orientale, in cui Ankara rivendica aree di sfruttamento nonostante la sovranità di Atene e Nicosia su molte masse d’acqua. Ma nonostante l’attenzione mediatica sia caduta in particolare sul confronto tra Ankara e i suoi vicini, non è stata solo la questione dei mari levantini ad accendere il tema della delimitazione delle ZEE nel Mediterraneo attivando anche l’Italia. Perché in questi anni anche l’Algeria ha deciso di delimitare una propria ZEE, e la sua estensione, almeno secondo il decreto presidenziale del 2018, è stata talmente ampia da allarmare diversi osservatori italiani, francesi e anche spagnoli.
La questione è stata sottolineata da Analisi Difesa, che con una descrizione molto chiara della questione identifica l’area della ZEE disegnata da Algeri. Essa, spiega il sito, “lambisce le aree costiere della Sardegna occidentale, estendendosi sino nord-ovest del Golfo di Oristano in prossimità delle acque territoriali di Sant’Antioco, Carloforte, Portovesme, Oristano, Bosa ed Alghero, con una cuspide (punto di coordinate 40°21’31’’N – 06°50’35’’E)”. In poche parole, la zona economica esclusiva pensata da Algeri arriva a circa 60 miglia nautiche dalle coste sarde, oltre che si estende anche fin sotto le Baleari interessando l’area considerata di interesse esclusivo spagnolo.
Il tema può sembrare di rilevo più diplomatico che strategico, ma sarebbe riduttivo credere che la ZEE sia un problema di ordine puramente “cartografico”. La ZEE, oggi, è un elemento fondamentale nella territorializzazione che sta subendo il mare in tutto il mondo, non solo nel Mediterraneo. E non è un caso che anche l’Italia abbia deciso di attivarsi proprio quest’anno con l’iter legislativo per la costituzione di una zona di esclusività nazionale. Essa, infatti, da un lato importante per quello che comporta a livello di diritti. Un’area che può estendersi fino a 200 miglia dalla linea di base da cui è calcolata l’ampiezza delle acque territoriali in cui lo Stato, come spiega Fabio Caffio nel suo “Glossario di diritto del mare”, è titolare di “diritti sovrani sulla massa d’acqua sovrastante il fondo marino ai fini dell’esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse naturali, viventi o non viventi, compresa la produzione di energia dalle acque, dalle correnti o dai venti” ma ha anche “giurisdizione on materia di installazione ed uso di isole artificiali o strutture fisse, ricerca scientifica in mare e di protezione e conservazione dell’ambiente marino”.
Ma oltre al tema giuridico, c’è un profilo diplomatico da cui non si può prescindere. Identificare una propria zona economica esclusiva, che dovrà essere regolata attraverso accordi con i singoli Stati vicini con cui entra in contatto, implica infatti una presa di coscienza. Consegnare ai partner regionali una una zona economica esclusiva ideata in base ai propri interessi comporta infatti l’idea di volere essere un soggetto attivo dello scacchiere marittimo che circonda quel determinato Paese. Vale per l’Algeria vale anche per l’Italia, che infatti dialogano proprio per la conformazione delle rispettive ZEE al fine di delimitarle sulla base delle reciproche esigenze. La legge italiana in questo senso è estremamente aperta a trovare accordi che si fondino su una ripartizione equa e basata sulla buona fede: ma questo comporta anche che per il vicino, in questo caso l’Algeria, si deve tenere conto anche di un Paese meno cedevole sul punto. Algeri in questo senso ha già fatto capire di avere un forte interesse a ampliare il proprio raggio d’azione marittimo: lo ha fatto a livello di rafforzamento militare in ambito navale ma anche appunto con queste mosse di carattere politico. Il governo nordafricano ha manifestato più volte il desiderio di trovare un accordo con la controparte italiana che garantisca la piena collaborazione e la soddisfazione di entrambe. Ora bisognerà capire come questo verrà poi concretizzato nei rapporti bilaterali.
Un Paese che guarda ancora a Mosca
Le relazioni tra Algeria e Russia affondano le proprie radici sin dall’indipendenza dopo il conflitto coloniale che ha visto Algeri liberarsi dal controllo francese. A partire dal1962, infatti, l’Algeria ha cercato di collaborare con l’Unione Sovietica principalmente nell’ambito della cooperazione militare, per via della riluttanza occidentale a vendere armi al nuovo Stato sovrano.
Dal 1962 al 1989, l’Algeria ha speso circa 11 miliardi di dollari per l’acquisizione di armamenti sovietici moderni, tra cui aerei, carri armati, varie tipologie di unità navali, armi leggere e pesanti. Tuttavia, le relazioni russo-algerine hanno visto un raffreddamento durante il decennio successivo al crollo dell’Urss che è stato concomitante alla guerra civile che l’Algeria ha vissuto negli anni ’90.
Quando Abdelaziz Bouteflika è diventato presidente nel 1999, i due Paesi hanno rafforzato le loro relazioni anche grazie alla lungimiranza di Vladimir Putin. Come conseguenza la Russia è stata in grado di espandere la propria presenza politica ed economica nel Maghreb e di ridefinire la propria politica estera in Nord Africa, soprattutto mantenendo un “avamposto” prezioso dopo la caduta del regime del colonnello Gheddafi in Libia.
La collaborazione con Mosca ha permesso ad Algeri di porre fine al suo isolamento che perdurava dalla guerra civile e di affermarsi sulla scena regionale e internazionale. Oggi i due Paesi hanno in essere un importante accordo di cooperazione militare ed energetica, che stanno rafforzando in un momento in cui il mercato energetico mondiale sta cambiando grazie all’ingresso di nuove fonti energetiche (gas e petrolio di scisto, ma anche “idrogeno blu”).
Lo scorso gennaio la visita del ministro degli Esteri del Cremlino ad Algeri ha certificato come l’impegno per la cooperazione sia ben saldo ed ha evidenziato la volontà di Mosca di rimanere un attore chiave in Nord Africa. A giugno, invece, il generale Said Chengriha, capo di stato maggiore algerino, è stato in visita a Mosca.
Un dato che parla chiaro: il volume complessivo degli scambi commerciali diretti in Algeria dalla Russia ha già superato i 4,5 miliardi di dollari. Una cooperazione non solo energetica: i due Paesi vogliono lanciare progetti comuni in materia di sicurezza informatica e telemedicina, ma anche accordarsi dal punto di vista delle scorte alimentari (grano nella fattispecie), inoltre si parla di cooperazione in ambito cybersicurezza.
L’evidenza del partenariato russo-algerino si ha però nel campo degli armamenti: le forze armate di Algeri hanno in dotazione, per la maggior parte, assetti fabbricati in Russia. Tutta la linea di Mbt (Main Battle Tank) algerini, ad esempio, è di fabbricazione russa, e lo stesso vale per gli Ifv (Infantry Fighting Vehicle). La Russia è il Paese che sta provvedendo anche alla modernizzazione delle forze armate algerine: per quanto riguarda l’aeronautica sappiamo che Algeri ha piazzato un ordine per i primi 14 cacciabombardieri Sukhoi Su-34 (Fullback in codice Nato), da attacco al suolo, che andranno ad aggiungersi alla linea composta da Mig-25, Mig-29, Su-24 e Su-30. Il settore navale è quello forse più preoccupante. Anche qui Mosca sta dotando il suo alleato in Nord Africa degli assetti più moderni di cui può disporre: attualmente nella Marina Algerina ci sono 4 sottomarini classe Kilo (project 636) che si aggiungono ai due precedenti di vecchio tipo (project 877) che sono stati rimodernati tra il 1992 ed il 1996. A quanto sembra Algeri ha in consegna altre due battelli entro il 2022 portando così a otto il numero totale di sottomarini in servizio. A formare la spina dorsale delle unità di superficie ci sono otto fregate (due Meko tedesche, tre Adhafer di fabbricazione cinese e altre tre vecchie Koni dei tempi dell’Urss) insieme a sedici corvette. Anche qui l’impronta di Mosca si fa sentire: i cantieri russi forniranno tre nuovissime classe Steregushchiy entro l’anno prossimo, mentre la Cina, sempre nello stesso periodo di riferimento, fornirà sei classe Type 056. I tempi di consegna, però, sono ancora indicativi e passibili di ritardi, soprattutto per le unità russe.
Il suo avversario regionale: il Marocco
Questa piccola corsa agli armamenti algerina, funzionale soprattutto alle sue istanze di sovranità su un ampio tratto marino e che coinvolge direttamente la Zee italiana oltre che alla volontà di Algeri di porsi come regolatore delle dinamiche del Nord Africa, ha innescato una reazione nel suo avversario regionale principale: il Marocco.
Negli ultimi mesi i due vicini nordafricani hanno visto una quasi totale rottura delle relazioni diplomatiche. L’Algeria ha accusato il Marocco di aver tentato di minare la sua stabilità interna e di appiccare incendi per distruggere i raccolti, mentre il Marocco, che ha negato le accuse, ha ribattuto affermando che Algeri sta cercando di creare disordini nella regione del Sahara Occidentale sostenendo e finanziando il Fronte Polisario, un gruppo di ribelli che cerca l’indipendenza di quella regione.
La rivalità tra i due paesi non è una novità, risalendo ai tempi della colonizzazione francese, ma le relazioni diplomatiche hanno toccato recentemente ancora una volta il fondo. Inoltre il Marocco è sempre stato sostenuto dall’Occidente, mentre l’Algeria guardava all’Urss, come abbiamo visto: un meccanismo che permane tutt’ora.
A dicembre 2020, ad esempio, il regno, sull’onda degli Accordi di Abramo, ha affermato di voler normalizzare le relazioni con Israele, mentre gli Stati Uniti avrebbero riconosciuto il Sahara Occidentale come territorio marocchino. Sempre nello stesso anno Washington e Rabat siglano un accordo decennale mirante a rafforzare la cooperazione militare, certificando, una volta di più, come il Marocco sia un importante Paese alleato degli Stati Uniti e della Nato: negli ultimi anni ci sono state sempre più esercitazioni congiunte che hanno visto soprattutto la partecipazione delle rispettive forze aeree, inoltre il Marocco ospita l’esercitazione militare statunitense chiamata “African Lion” che si tiene annualmente.
Una cooperazione che ha subito, però, una piccola battuta d’arresto lo scorso ottobre quando il Senato statunitense ha bloccato alcuni fondi destinati al Paese nordafricano se questi non si muoverà concretamente per un accordo di pace nel Sahara Occidentale. In ogni caso tra Algeria e Marocco è in corso una piccola corsa agli armamenti: nel 2021 sono rispettivamente al primo e al secondo posto nella spesa totale per la difesa di tutta l’Africa (escluso l’Egitto). In prospettiva, la spesa per la difesa algerina ammonta a quasi il 27% di quella di tutta l’Africa, mentre quella marocchina rappresenta quasi il 13,5%.
Un problema “francese” che ci riguarda
Nel frattempo la Tunisia, tradizionalmente alleata dell’Algeria, sta attraversando una crisi costituzionale mentre il presidente tunisino Kais Saied cerca di riformare il governo dopo la presa del potere a luglio. Una crisi innescata ad arte dagli Emirati Arabi Uniti, a seguito della “battuta d’arresto” rimediata in Libia: le pressioni di Abu Dhabi, così come quelle del Cairo, hanno infatti giocato un ruolo chiave nella decisione del presidente tunisino dello scorso luglio di “sospendere” il processo costituzionale nel Paese.
Anche per questo Algeri e Tunisi stringono ulteriormente i propri legami: i due Paesi stanno lavorando per lanciare una “strategia integrata” nelle loro relazioni bilaterali. Coi loro alleati regionali che attraversano tempi difficili e affrontano la minaccia di potenziali attacchi terroristici da parte di gruppi estremisti, Algeria e Marocco sono sottoposti a enormi pressioni, e di rimando giocano una partita a scacchi con la Francia.
È Algeri ad essere “ai ferri corti” con Parigi, per una questione storica che ha fornito il pretesto per aprire una crisi diplomatica fortemente cercata: lo scorso ottobre il presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune, ha richiamato l’ambasciatore in Francia dopo che il capo di Stato francese, Emmanuel Macron, aveva chiesto ufficialmente perdono agli harki, algerini che hanno combattuto a fianco della Francia durante la guerra d’indipendenza d’Algeria e poi abbandonati a migliaia alla fine del conflitto. La diretta conseguenza di questa crisi è stato il divieto di utilizzo dello spazio aereo algerino per i velivoli dell’Armée de l’Air diretti in Mali, che così hanno dovuto allungare di molto la rotta passando proprio per il Marocco.
Una crisi che, al momento, non trova soluzione e che potrebbe tornare utile al nostro Paese per risolvere alcune questioni fondamentali, come ad esempio la determinazione dei limiti delle Zee. Una risoluzione che potrebbe non essere facile da ottenere, nonostante i legami tra il nostro Paese e l’Algeria di lunga data, grazie alla diplomazia dell’Eni sin dai tempi di Enrico Mattei: una diplomazia del gas che ci lega attraverso il gasdotto Trans-Mediterranean che collega il Paese nordafricano alla Sicilia via Tunisia.
Ecco perché, anche in forza del Trattato del Quirinale, Roma si può porre come intermediario e cercare quell’accomodamento che manca e che ci permetterebbe di avere un peso maggiore in Nord Africa e proporci come alternativa ad Algeri in ottica di sganciamento dalla Russia, che viene considerata sempre più un partner strategico fondamentale (anche in campo energetico) anche per via della crisi con Parigi.