domenica 30 Giugno 2024

Maschere e volto del sistema

Perché tutte le rappresentazioni correnti sono false, come bisogna ragionare e, soprattutto, cosa si deve fare

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Chiediamoci: c’è qualcosa di vero nella narrazione Occidente-AntiOccidente, Israele-Hamas e via dicendo?

Qualcosina c’è, ma molto più no che sì.
La rappresentazione del reale è da sempre un arrangiamento al livello di concentrazione e di conoscenza delle masse: in questo oggi non vi è nulla di eccezionale, se non fosse per la sua particolare complessità e per la sopravvenuta assenza di idee mobilizzatrici di massa, ragioni che rendono la narrazione ancor più astratta e ridicola. Va detto che abbiamo dei precedenti che avrebbero dovuto metterci in guardia sulla credulità: pensiamo alla “Guerra Fredda”, della quale, va detto, si parla come se fosse stata qualcosa di concreto più oggi che non all’epoca, quando maturò un sano scetticismo in merito.

Era così anche in passato?

Per quieto vivere e per richiesta degli stessi utenti, la narrazione, sia politica che religiosa, è sempre stata alquanto grossolana, aprendo – nei casi pregevoli della storia – la porta ad altri livelli di consapevolezza, mediante analogie o riferimenti sim-bolici (ossia in grado di fornire chiavi per più livelli). Se non fosse che questo concetto si equivoca immediatamente, facendoci pensare a malattie mentali e a gnosticismi, potremmo dire che, al di fuori della dimensione animale non vi è possibilità di percepire il reale che non sia esoterica. Non s’intende con ciò necessariamente un esoterismo misterico, ci si può riferire alla pura e semplice capacità di andare oltre gli schemi per cogliere strutture, psicologie e forze che non sono sotto i riflettori. In questo senso si può definire, ad esempio, l’intera analisi marxista come esoterica. E non fu la sola.

Oggi tutto è raccontato come un continuo scontro tra opposti. Perché è uno schema fallace?

La rappresentazione del reale si esprime in continui simulacri di scontro tra due opposti, che si tratti di sessi, di immigrazione, di religione, di “geopolitica” o perfino della buffonata (anti)fa. Eric Werner ci anticipò un quarto di secolo fa come si sarebbe perpetrato quest’inganno finalizzato a introiettare nei singoli di una società atomizzata l’eccitazione di massa e come tutto ciò avrebbe stabilizzato delle oligarchie ormai distaccate dalla stessa base sociale per effetto della disarticolazione dei corpi intermedi. Normale, quindi, che gli sprovveduti possano credere che esiste un Occidente in crisi attaccato da un presunto AntiOccidente, o che non ci sia stretta correlazione tra Netayahu e Hamas, o ancora che in Ucraìna sia in gioco l’entità russa, o che nel Sahel le cose si muovano per un risorto antimperialismo, o che oggi a Gaza si combatta per la Palestina. Tutto questo è vero in una minima parte, perché alcuni di coloro che combattono e muoiono, sono SOGGETTIVAMENTE convinti che questa sia la ragione, ma le cose stanno ben diversamente.

Eppure, attribuendovi valori diversi, sia il main stream che le opposizioni convergono in questo schematismo. È normale?

Chi avanza la pretesa di distanziarsi dalla politica dominante dovrebbe innanzitutto rifiutare la versione dei fatti che gli viene imposta. Rifiutare non significa rovesciarla: stare sempre con il “cattivo” contro il “buono” in una pura e semplice schermaglia virtuale, non è diverso dallo stare con il “buono” contro il “cattivo”, perché avalla la narrazione, il che rende servi (sia pur “rivoltati”) del padrone. Anzi, affinché questa narrazione continui, sono indispensabili i putinisti, gli omofobi e gli hamasisti, che sono i pilastri più efficaci degli Usa, dell’Lgbt e di Tel Aviv.
Se ci si vuole emancipare dagli americani, se si vuole difendere la causa palestinese, se si vuole introdurre una nuova etica sociale che funga da norma, non è affatto così che si procede.
Dobbiamo affrontare la realtà, sia concettualmente che attivamente, rendendoci conto di come essa sia complessa. Dobbiamo pertanto essere capaci di trovare una quadra che ci consenta di non farci corrodere l’anima e la testa, come avviene quotidianamente, ma ci permetta di smetterla di essere le rovine tra coloro che stanno in piedi, ché tale è diventata la nostra versione vissuta di Evola, in questo Kali Yuga secondo Mel Brooks.

Come dovremmo interpretare, allora, la realtà?

Non voglio tramutare questo excursus in un documento politico, perciò esporrò la mia visione in modo telegrafico. Siamo in presenza di una realtà che si deve suddividere perlomeno in tre piani che vanno affrontati separatamente ma contemporaneamente. Provo a delinearli velocemente.

Mondo unipolare, bipolare, multipolare: sono tutte definizioni sbagliate. La transnazionalità capitalista non è occidentale: è globale ed è unita seppur divisa. E anche sulla “supercasta” di cui tanto si parla, ma di cui ci si dimentica sempre nell’analizzare i fatti, le cose sono molto più complesse di come ce le si possa immaginare. È una definizione soddisfacente?

Come sostengono gli americani da ormai trent’anni, la questione dei presunti poli è secondaria in quanto si vive in un mondo “interconnesso”. Basta dare un’occhiata a investimenti, commerci e armamenti nei BRICS per rendersi conto di quanto sia folle pensare il contrario. È sufficiente sollevare il lenzuolo di un millimetro per scoprire gli intrecci tra Russia, Israele e Arabia Saudita e le loro connessioni con gli Stati Uniti, l’India e la Cina. E così all’infinito perché il groviglio capitalistico è fitto e indistricabile. Il che – si badi bene – non significa che non ci siano lotte intestine, solo parzialmente legate alle nazionalità, ma più spesso trasversali, che non vanno assolutamente ignorate.
Si può anche guardare al tutto con ulteriore cinismo e rendersi conto che la guerra in Ucraìna l’ha vinta, con la ricostruzione, il gruppo Black Rock o che la travolgente avanzata turca sullo scenario mondiale, accompagnata ad un’inflazione terrificante, è sul punto di sfociare nella cessione di molti asset a JP Morgan. A breve scopriremo chi avrà vinto a Gaza: ce lo diranno i dividendi delle aziende consociate del gas.
Conosciamo tutti la storia delle poche famiglie che hanno nelle mani la ricchezza mondiale. Sono dati di fatto di cui tenere conto, senza però cadere nei fatalismi arrendevoli, nel “non c’è più niente da fare”, con annesso l’abbandono dei canoni più normali del vivere, e con il sentimento della “fine della storia”, che non è così. Ma nulla muterà per slogan elettorali o effimere vittorie populiste, perché servono nuovi rapporti di forze e dinamiche colte e interpretate adeguatamente per poter cambiare i sistemi. A quello si deve guardare senza fingere che le cose non stiano come stanno ma, al contempo, senza lasciarsi prendere dallo scoramento che di fatto è idiota.

In questo, allora, cosa c’entra l’Europa? Perché la si dovrebbe difendere o, come sostengono i sovranisti, abbattere o sgretolare?

Permangono le logiche geostrategiche e geoeconomiche che muovono i players. Le contese per le fonti energetiche e per il mercato si riflettono nelle dimensioni continentali e nazionali. E qui si assiste a una continua contesa, sia pure a un livello sotto quello dell’intreccio capitalistico sovranazionale, su cui poi, comunque, influiscono di rimbalzo. Questi conflitti tra i players rispondono alle logiche storiche, aggiornate e adeguate all’attualità.
In questo l’Europa è campo di battaglia, oggetto di una guerra continuativa da parte dei vincitori del 1945 che, sul timore della nostra potenza, sull’invidia della nostra superiorità etica e di civiltà, convergono sempre. Almeno i russi e gli americani, perché gli inglesi sono troppo altezzosi per condividere quei complessi pezzenti che gli altri nemmeno nascondono più. Va da sé che dal punto di vista del capitalismo finanziario poco conta chi prevalga e chi capitoli, perché rispondono tutti (e più di tutti quelli che criticano l’Occidente) allo stesso sistema di sfruttamento. Ma ci sono degli effetti collaterali importanti, che vanno dalle condizioni economiche e di potenza di un’area geografica al come la cultura trasmessa si riversa nelle espressioni capitalistiche. Quello che viene definito “ordoliberismo”, per esempio, si basa sulla concezione renana che è indegna erede di quelle imperiale, clericale e fascista del capitale e del lavoro. Se ne deduce che tra tutti i suoi competitors è ampiamente il meno peggio. Ma non è tanto il meno peggio che deve orientarci, quanto la potenzialità concessa a un’area, a un popolo, a un contenitore di civiltà, per una possibile rigenerazione. Qui l’eurofobia interviene come un vero e proprio alto tradimento.
A nessuno, fatta l’Italia, poiché era diventata immediatamente una schifezza, venne in mente di tifare per il suo sgretolarsi: la sostennero malgrado le rapine di governo, malgrado i Bava Beccaris e nel 1914 i nazionalisti furono i primi interventisti. Nella Germania di Weimar nessuno si oppose alle manovre di von Schleicher per rafforzare la Reichswehr, benché egli fosse un pidduista antelitteram che venne poi fucilato nel 1934; ma finché contribuì a lavorare per gettare le basi della riconquista della Ruhr non fu ostacolato. Quale follia ispira parte di un’area a tifare contro la Ue perché così com’è non le piace? E cosa c’è che le piaccia e che non sia la mistificazione di una truce immagine lontana?
Non è concesso a chi abbia amor di patria e una volontà di libertà e di potenza, l’ergersi, fosse anche emotivamente, contro qualsiasi crescita d’Europa, di qualunque Europa si tratti, e men che meno di schierarsi con i predoni di turno, che si chiamino Trump o Putin, i quali si agitano contro il nostro passato e il nostro futuro nel nome della potenza delle loro meschine culture d’accatto.
È esattamente l’opposto di quello che dev’essere fatto.

Eppure la Ue non fa molto per farsi amare, a volte dà l’impressione di essere un vero e proprio mostro.

Certo. Paradossalmente alcuni dei suoi aspetti più inquietanti che ho elencato nel mio Il Mito dell’Europa, del 2018, ultimamente pubblicato di nuovo tramite Passaggio al Bosco, non li hanno mai colti. Tuttavia quelli che tanto sbraitano contro di essa (e contro l’Euro!), quasi mai sanno di cosa parlano. Non ne conoscono il processo storico (che, tecnicamente, parte a fine 1940, a trazione italotedesca), ignorano le concezioni di un intero mondo, e in primis di Mussolini fin dal 1921 e, con rinnovato vigore del neofascismo europeo nella sua interezza dal 1948 al 1989. Poi non conoscono i meccanismi di funzionamento della Ue; non approfondiscono le battaglie interne ed estere che vi si svolgono e che hanno determinato violente reazioni russoamericane; non conoscono neppure il funzionamento della Bce. Si limitano ad una visione caricaturale di un presunto moloch piovuto dall’alto, cui attribuiscono tutti i difetti, dimenticandosi di metterli a confronto tanto con quelli degli altri, quanto con quelli dei singoli membri interni. Se facessero così sarebbero obbligati a cambiare giudizio, ma non credo che esista la volontà di prendere una posizione che induce ad agire anziché a gracchiare. E questo è il punto dolente.

Dobbiamo perciò essere europeisti a ogni costo?

Impegnarsi per l’Europa – e mai contro di essa – è fondamentale, è imprescindibile, ma non è sufficiente. Perché esistono poi l’anima e le forme di una società che, di qualunque si parli, oggi è intrisa dello stesso spirito e degli stessi valori, cinici, materialistici e corrosivi.
Le “opposizioni” populiste in questo frangente storico hanno mostrato appieno quanto siano squallide e intrise di tutti i canoni del mercantilismo. Tutte le “battaglie” per la moneta e per la defiscalizzazione sono puramente capitalistiche e bottegaie, con l’aggravante di fondarsi, in tutte le loro proposte, sulla rozzezza, l’improvvisazione, l’ignoranza, l’analfabetismo economico, assunti con la sarcastica arroganza dei minus habentes.
Si tratterebbe invece, ma io oso dire che si tratterà, di ricostruire i rapporti organici nel sociale, di rigenerare il senso di comunità di destino, di ripartire dal privato edificato in comune per risocializzare, d’imporre svolte originali e inedite, plasmate sulla logica corporativa, con la fierezza nazionale e regionale sublimata in un’appartenenza superiore, imperiale, che si fonda su concezioni esistenziali, sociali ed estetiche comuni agli europei e solo ad essi.
Rigenerazione e Riconquista, che devono andare assieme con l’acquisizione di Potenza Europa.
A questo, di cui ho parlato abbondantemente nel libro citato prima, ho dedicato la mia più recente pubblicazione, Sfida al futuro, edita dal Soccorso Sociale, in cui spiego mentalità, metodi e strategie e anche la funzione dei Lanzichenecchi d’Europa con quanto hanno prodotto finora e quello che intendono contribuire a suscitare.

Si sostiene che la Ue sia un’appendice americana, creatura degli americani, integrata nella Nato e che, per queste ragioni, sarebbe nostra nemica.

Conosco questo luogo comune che è tra i più infondati in assoluto. Ovviamente la Ue ha un rapporto d’inferiorità oggettiva, dovuta ai rapporti di forza, nei confronti degli americani, ma questo non vale solo per la Ue, questo vale per tutti i paesi del mondo, anche per quelli che strillano tanto nel loro antiamericanismo confezionato per la propaganda “proletaria” destinata alle proprie masse. Non solo la Russia è da sempre pilastro del sistema mondiale ad egemonia americana, ma perfino l’Iran (rammentate l’Irangate?). Se poi si guarda ai rapporti commerciali, industriali e militari senza alcun pregiudizio pregresso, si scopre quello che gli americani hanno scoperto da tempo e che denunciano costantemente. I soli players che mettono minimamente in discussione lo strapotere americano sono la Cina e la Ue. Basterebbe seguire quanto dicono i diretti interessati, americani e cinesi in primis, per sorridere di quella grossolana semplificazione che presenta la Ue come un’appendice americana.
Logicamente il “partito americano” all’interno della Ue (come della Cina, dell’India e della Russia, del resto) è forte, ma ci sono correnti che si muovono per la nostra emancipazione e per una visione internazionale a dir poco interessante.
Si noti, poi, che quasi tutte le forze “sovraniste” in Europa sono parte integrante e attiva del partito americano. Per cui la loro tesi non sta in piedi nemmeno un istante.

Però, se ci liberiamo delle basi Nato e dell’egemonia americana, potremo essere liberi?

Se saremo liberi ci libereremo delle basi Nato e dell’egemonia americana: è esattamente l’opposto, e non è un dettaglio. Lo sviluppo delle “dottrine” di rapporti tra la Ue e la Nato è andato in questa direzione. Più Filippo Anfuso che Charles De Gaulle. Macron ha proposto addirittura la fuoriuscita dalla Nato, cosa che Putin ha reso impossibile e, per me, non per caso. Ma la Dottrina Schaüble in Germania va realisticamente verso il riequilibrio di rapporti tra le due sponde dell’Oceano, rivendicando l’autonomia europea verso il Pacifico. Se, invece di masticare slogan, la gente seguisse gli eventi, non direbbe castronerie da qualunquisti al bar.
Il problema è che, quando si ragiona con questi criteri, non è per fare qualcosa ma per giustificare il proprio isolamento dalla realtà nel quale ci si compiace perché non si ha alcuna volontà di potenza. Non a caso sono stati assunti criteri inaccettabili per un indoeuropeo, un grecoromano, un fascista, come quello del Male Assoluto, ergendosi contro il quale si sarebbe virtuosi. Nulla è più demenziale. Da lì parte l’antieuropeismo come antiamericanismo (Usa = Male Assoluto). È paradossale perché, come ho già esposto, i due termini sono semmai antitetici, ma al di là di questo è una dichiarazione d’impotenza e d’inerzia. In certi casi è una sorta di regressione senile perché diversi di coloro che oggi mi accusano di essere passato con la Nato perché sostengo la lotta del popolo ucraìno, il che è ovviamente una forzatura, molti anni fa mi accusavano di essere comunista perché dicevo che l’Europa dovesse avere un esercito proprio al di fuori dall’Alleanza Atlantica. Sono cambiati loro, non io: o meglio siamo rimasti tutti dov’eravamo allora perché, concretamente, questo ruolo da AntiNato da piccionaia è un collante necessario dello status quo e, quindi, è graditissimo agli americani.
Sorrido poi quando vedo che a porsi a capo di questo “antiamericanismo” è un ex sindaco di Roma che fece sfilare le jeep yankee che avevano “liberato” la capitale e sostenne che il bombardamento americano di San Lorenzo era stato colpa della guerra fascista.

Proviamo a ricapitolare e a fare il punto. La narrazione inganna perché esistono tre piani della realtà. Uno che è quello del capitalismo oligarchico transnazionale che se ne infischia delle contese ma le strumentalizza; un secondo piano è quello dei players in cui c’è l’Europa che dovremmo, comunque, sostenere; un terzo è quello delle concezioni politiche e sociali su cui deve intervenire una rigenerazione rivoluzionaria?

Certamente. Tutto deve marciare insieme: la consapevolezza della realtà oltre l’inganno, il nazionalismo europeo, l’azione rigeneratrice sotto tutti gli aspetti. Anche se sono azioni diverse e in un certo senso separate, è fondamentale che dettino insieme ogni linea di condotta.
Questi tre piani vanno conosciuti e su tutti questi si deve operare con la bussola e la centralità.
Tuttavia non esistono piani senza fondamenta ed è di qui che si deve partire, perché se si evita di farlo non si è che un atomo come un altro, un’ipotesi soggettiva, un nulla presuntuoso che opina e suppone di essere qualcuno o di rappresentare qualcosa perché si aggrappa a qualche slogan o crede di ricollegarsi a una sorgente solo mediante un tatuaggio, sulla pelle o nel cervello.
Verticalità e appartenenza, ordine mentale e percezione della bellezza, creatività mediante i canoni; è da questi elementi che s’interviene sul Caos e che si rigenera il mondo oggi prigioniero dell’ipnosi e della nevrosi, dell’autolesionismo e dell’attrazione del brutto e del grottesco.
È il Cosmos che mette ordine nel Caos, che mitologicamente, si badi, è organizzato e lo è anche nella pratica. Saper riconoscere il Caos non per reagirvi con ipotesi frenanti, che servono soltanto a fornirgli equilibrio, ma con una radicalità totalmente differente, è quanto va fatto.

Alcuni sostengono che tutto quello con cui abbiamo a che fare sia il frutto di un complotto malvagio, o che sia addirittura satanico. C’è qualcosa di corretto in questa mentalità o va rifiutata in toto?

Anche qui la narrazione non aiuta, sicché quanto è chiaramente satanismo, almeno utilizzando la terminologia dominante, non viene percepito o, se lo si intuisce, lo s’interpreta in modo grotteso e risibile, come fanno tutti i fondamentalisti di qualsiasi religione che sono generalmente degli arteriosclerotici incapaci di cogliere l’essenziale e condannati a imbalsamarlo in formule rigide e d’immaginarlo in modo ridicolo. Col che non lo riconoscono, tant’è che oggi pullulano piccoli guru pseudo tradizionalisti che trasudano satanismo nei gesti, negli sguardi, nei propositi, nelle parole e nella stessa loro impostazione del tradizionalismo che è palesemente rovesciata e che chiunque abbia familiarità con l’argomento non avrebbe difficoltà a riconoscere.
Sono dei piccoli maghi othelma, li abbiamo in Russia come in Italia, e hanno dei seguaci. Verso il nulla. Questo non è stupefacente per chi abbia le giuste nozioni: è quanto avviene regolarmente nei momenti, peraltro pregni di possibilità di positiva rottura, conosciuti come di “seconda religiosità”, quale il nostro.
Ma questo è un fatto secondario di “area”, o meglio di circo. Il vero problema, quello che si può definire satanismo, o vortice del Caos, o ribellione contro l’Olimpo, sta nella perdita generale della lucidità e della gerarchia comportamentale e concettuale. A questo si ha la tendenza ad opporre dighe che non possono stare in piedi perché si basano esclusivamente sul buon senso e sul ricordo di un passato, spesso esaltato oltre misura, ma non si nota purtroppo nessuna tendenza a una nuova Fondazione degli spazi e dei valori che, di per sé, non esistono se non come espressioni contingenti dei princìpi.
Ad esempio la “famiglia tradizionale”, che si cerca senza grandi risultati di salvaguardare, ha poco più di un secolo ed è stata preceduta da altri modelli di famiglia molto più tradizionali di questa.

Non si può quindi far nulla contro la decadenza dei costumi, della società, dell’etica, contro il wokismo?

Il wokismo si arenerà da solo perché è frutto di un titanismo isterico.
Per quanto riguarda la rettifica, o meglio la rigenerazione, della società e dell’etica (che non va assolutamente confusa con i decaloghi del moralismo che ne sono nemici assoluti) è un fatto d’interpretazione, di congiunzione tra l’essenziale e il contingente che scaturisce in costumi distinti.
Tutta la storia degli ultimi tremila anni dimostra che questi differiscono tra loro in modo incredibile all’interno di diverse società sane, divise tra loro geograficamente o nel tempo.
Bisogna combattere la disgregazione con modelli positivi e in linea con i tempi, altrimenti non sarà possibile. Ma per fare questo bisogna, appunto, accantonare il moralismo e la pretesa reazionaria, che non funzionano. La politica di genere, ad esempio, poco e nulla ha a che vedere con l’omosessualità o con la sessualità di per sé perché è volta (satanicamente se vogliamo) a distruggere l’identità per fare dell’individuo un atomo risucchiato dal vortice del Caos.
Quando la si combatte non per questa ragione ma per una questione di morale sessuale, si finisce con l’aggrapparsi all’intolleranza che è tipica delle civiltà non indoeuropee, che sono quelle oggi più rigide sull’argomento eppure dove l’omosessualità è più diffusa che da noi. Si commette l’errore eguale e contrario delle nazioni, specialmente nordiche, che sono gay friendly non per attrazione ma per tolleranza indoeuropea. In ambo i casi non si è colto il senso della battaglia esistenziale e spirituale, il cui esito non ha molto a che vedere con l’omosessualità.

E come si combatte una battaglia tradizionale volta al futuro?

Se non si hanno chiari i criteri fondamentali e la gerarchia valoriale, non si può fare; se si recuperano si farà perché non ci manca l’inventiva.
Ma, per prima cosa, recuperiamo la bussola e da lì scopriremo che siamo già liberi e che dobbiamo solo offrire agli altri la nostra libertà. Che però è frutto di un percorso che nessuno potrà fare al posto di ciascuno di loro.
Ma siamo soprattutto affermativi, attivi, creativi e lontanissimi da qualunque genere di abbattimento depressivo, mascherato da saggezza del vile.
Nell’Affermazione è inclusa la negazione di tutto quanto la nega; partire dalla Negazione non afferma, ma assilla e mortifica.
Cambiamo motto, per cortesia: “Anche se tutti, io sì!”

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